Aerei, compagnie low cost sott’accusa «Guadagni facili aggirando le norme»

Di Rossella Jannello / 02 Luglio 2014

CATANIA – «Tutti noi gioiamo quando con le compagnie low cost riuscimo a postarci in aereo a prezzi bassi: ma vi siete mai chiesti chi paga il costo di questi biglietti? I lavoratori e i loro diritti». E’ stato il leit motiv ieri della prima delle due giornate del convegno dei sindacati europei dei trasporti Etf (European Transport Workers Federation), fra cui la FiltCgil e la Fit-Cisl, sul tema «Evoluzione del mercato del lavoro nell’Industria del Trasporto Aereo a seguito dello sviluppo delle compagnie Low Cost». Un modo per chiedere, tutti insieme, il rispetto di leggi e regole del lavoro contro la concorrenza sleale nei confronti delle compagnie che applicano i contratti.
Sono circa 6.000 i lavoratori italiani – hanno ricordato il segretario generale della Filt-Cgil, Franco Nasso, e Giovanni Luciano, segretario generale della FitCisl – che lavorano nelle compagnie low cost e la maggior di parte di loro guadagna – soprattutto nel caso del personale di volo – il 50% in meno di una compagnia come Alitalia. Ma non è solo una questione di soldi: attraverso una forma sofisticata di delocalizzazione, alcune compagnie non versano contributi per la pensione nè pagano le tasse allo Stato italiano. Il caso Ryanair spicca su tutti, come ha sottolineato Enrique Carmona, presidente Etf Civil Aviation section.
Secondo Nasso «nel trasporto aereo in Italia, con i processi di liberalizzazione, in assenza di regole, a fare ricavi sono solo le low cost, che nella libertà della competizione non applicano i contratti di lavoro, non pagano tasse e contributi.
Inoltre, gli aeroporti italiani dove atterrano le low cost elargiscono aiuti e solo nel nostro paese Ryanair può decollare dai grandi aeroporti in concorrenza con le grandi compagnie. Come conseguenza di questa assenza di regole – ha evidenziato il segretario generale della Fit-Cgil – l’intera industria del trasporto aereo è in crisi, con Alitalia oggi praticamente arrivata vicina al secondo fallimento nel giro di pochi anni e tutte le società aeroportuali e le aziende che operano nel settore in grave crisi o fallite. A pagare le spese di questa situazione sono i lavoratori: sono 14mila gli addetti che a vario titolo usufruiscono del Fondo di sostegno al reddito del trasporto aereo. Per evitare la catastrofe del settore – ha concluso Nasso – serve un contratto nazionale unico di settore che stabilisca le condizioni contrattuali sotto le quali nella concorrenza non si può scendere».
Dal canto suo, Giovanni Luciano ha delineato una soluzione possibile: «L’espansione delle compagnie low cost ha provocato un grande sviluppo del trasporto aereo, ma anche una grande ingiustizia ai danni dei lavoratori e una distorsione del mercato, visto che gli aeroporti minori in Europa pagano le compagnie. Chiediamo che questi soldi a disposizione vengano messi a gara – ha aggiunto – e non solo al miglior offerente, ma nel rispetto delle norme, dei Durc e delle certificazioni richieste in altri settori, come l’edilizia o l’industria, quali la regolarità contributiva e fiscale».
Fra tutti i casi critici spicca Ryanair che, denuncia il sindacato, rifiuta i contatti non solo con i sindacalisti italiani, ma anche con quelli d’altri Paesi. È stata da pochissimo aperta una procedura di raffreddamento da Cgil, Cisl e Ugl, per tentare di tenere rapporti coi vertici almeno in sede istituzionale, al ministero.
L’agenda dei lavori ha previsto la presenza di Alessio Quaranta, direttore generale Enac, che ha sottolineato la necessità del rispetto delle regole; e la presentazione della ricerca, preparata dai dottori Peter Turnbull dell’Università di Cardiff e Harvey Geraint dell’Università di Birmingham, dopo un’indagine conoscitiva tra i lavoratori delle compagnie low cost europee. Il documento finale del convegno verrà presentato alla Commissione Europea, Direzione Affari Sociali e Politiche per l’Impiego, nell’ambito del tavolo di Dialogo Sociale annuale, previsto dall’Agenda di Lisbona.

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