la ricerca
Con queste piante “ripuliamo” l’aria delle nostre case
Dall'anthurium, al pothos, passando per spathiphyllum e dracene uno studio dell'Iba-Cnr ci dice quali piante "assorbono" i veleni domestici
Riempire di piante le nostre case. È il minimo del contributo che ognuno di noi può dare verso quell’obiettivo (purtroppo “annacquato” alla Cop26) di azzerare le emissioni a effetto serra entro il 2030. Ma se è vero che l’azione globale per risolvere la crisi climatica dipende dalle azioni dei singoli, qualcosa possiamo impegnarci a fare, se non altro per migliorare la qualità dell’aria che respiriamo all’interno delle nostre case. Da dove partire è presto detto. Dagli studi di Rita Baraldi, agronoma, prima ricercatrice nell’Istituto di Istituto per la BioEconomia di Bologna del Cnr da tempo impegnata nel testare le capacità purificatrice dell’aria delle piante, in contesti urbani e al chiuso. Baraldi ha partecipato al recente incontro degli Stati generali del florovivaismo italiano che si è tenuto a Giarre organizato da Coldiretti nel parco botanico di Radicepura.
Quanto conta l’azione “filtrante” della piante in casa? «È fondamentale. Attraverso i loro processi fisiologici assorbono CO2 ed emettono ossigeno. Gli agenti inquinanti vengono assorbiti dalle foglie attraverso minuscole aperture dette stomi attraverso le quali la foglia assorbe anidride dall’atmosfera per trasformarla, con il processo della fotosintesi, in carboidrati, gli zuccheri che servono alla pianta stessa per svilupparsi. Anche le polveri sottili (come il PM1) possono essere assorbite attraverso le aperture stomatiche. Le particelle più grandi invece vengono trattenute attraverso strutture come peli e tricomi, che spesso ricoprono le superfici fogliari, o vengono trattenute sulle “cere” che, a seconda delle diverse specie, sono presenti sulle foglie».
Ma in casa quali veleni respiriamo? «Per esempio quelli che arrivano dall’uso dei detergenti con ammoniana e acido cloridrico, oppure xilene e toluene da stampanti, computer e fotocopiatrici, o la formaldeide e il benzene dal fumo di sigaretta o, ancora, tutti i composti organici volatili derivati dall’uso di caminetti e biomasse (legna, carbone per cucinare e riscaldare), il Tricloroetilene contenuto negli adesivi e negli smalti coloranti, o la colla dei nostri mobili, senza dimenticare la scarsa ventilazione che moltiplica il pericolo di questi agenti all’interno delle nostre case». Quindi piante dappertutto… «Assolutamente, basta scegliere quelle adatte. Anche in camera da letto, il mito che lì non si possano mettere è da sfatare. La Sanseveria, per esempio, di notte produce ossigeno e assorbe l’anidride carbonica». La piantina da mettere sulla scrivania in ufficio? «Io direi uno spatiphillum, oppure un anturium, una gerbera, un pothos, lì dipende molto dalla sensibilità delle persone e dalle piante che piacciono di più. Diciamo che più è grande la superficie fogliare, meglio è».
Più verde, più salute e meno spese anche per il sistema sanitario… «Assolutamente, infatti è quello che dice la ricerca medico-scientifica. È stato dimostrato che l’aumento delle aree verdi in una città è correlato ad una diminuzione dei decessi dovuti a problemi respiratori e cardiovascolari». I risultati della ricerca che avete condotto sono indirizzati a quale settore? «Io sono una ricercatrice e la mia missione è quella di portare avanti studi che restituiscano informazioni alla comunità cioè coloro che pagano le ricerche pubbliche. Sono studi a disposizione di tutti».
Quant’è durata la ricerca e com’è nata l’idea? «Di questi argomenti ce ne occupiamo ormai da 15 anni. Da agronoma che studia la fisiologia delle piante, sono stata contattata da un distretto florovivaistico di Canneto sull’Oglio che ci ha chiesto di focalizzare le nostre ricerche sulle piante che si utilizzano negli ambienti urbani. Da lì è nata la nostra passione nell’andare a stimare la capacità di mitigazione dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento da parte delle piante». In questo pianeta malato le piante torneranno a dominare il mondo? «Dipende da noi, se noi non ci fossimo lo farebbero già. Le piante dominavano già il mondo, poi noi le abbiamo purtroppo tagliate e ridotte drasticamente e questo è stato un altro punto affrontato nella Cop 26 in cui si parla di fermare al 2030 gli abbattimenti delle foreste in particolare in Amazzonia. Dobbiamo ripartire da lì».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA