E’ una sentita lettera d’elogio quella che un quarantenne agrigentino, G.M. le iniziali, ha voluto destinare al personale del reparto di nefrologia del presidio ospedaliero “San Giovanni di Dio” di Agrigento al termine di un lungo ed impegnativo percorso di cura che gli ha permesso di fronteggiare con successo due patologie sistemiche rare ed estremamente gravi. La professionalità e la dedizione dello staff sanitario – secondo quanto riferito dal paziente – sono state encomiabili generando un profondo senso di gratitudine che l’uomo, non senza un’evidente commozione, ha voluto destinare ai medici e agli infermieri diretti dal primario Antonio Granata. Sottoposto a plasmaferesi, la procedura attraverso cui il plasma del paziente viene sostituito con quello appartenente a donatori sani, a cure con farmaci biologici e a CRRT/CVVH, una forma molto sofisticata di terapia sostitutiva extracorporea, il paziente ha superato l’insufficienza renale acuta provocata da vasculite ANCA correlata complicata da “sindrome emolitico-uremica atipica” e da sepsi. Si tratta di gravi malattie del sistema immunitario associate molto spesso a complicanze fatali, secondarie a trombosi e/o emorragie dei piccoli vasi sanguigni di tutto il corpo con il conseguente danneggiamento di organi vitali come il cuore, il cervello e, soprattutto, i reni. La tempestività nella diagnosi e la somministrazione della terapia altamente specialistica hanno consentito non solo di scongiurare rischi per la vita del quarantenne ma di migliorare significativamente la qualità della sua esistenza “fuoriuscendo” dal trattamento dialitico.
“Ricevere un attestato di stima e gratitudine da parte di un paziente – afferma il dottor Antonio Granata – suscita una profonda emozione e fa sempre estremo piacere. Oltre a confermare la qualità dell’impegno che quotidianamente si svolge in reparto, fortifica l’impegno di tutto lo staff medico ed infermieristico non solo, sotto il profilo spiccatamente sanitario, per continuare a trattare con dovizia casi delicati come quello che si è presentato ma anche nel tentativo di umanizzare i percorsi di cura fortificando sempre più il legame con le persone”.