ROMA – Bagni e docce privi di porte, stanzoni per 36 persone senza separazione tra uomini e donne, acqua corrente interrotta alle 21 alle 7. Questa la situazione da incubo descritta dagli ospiti dell’hotspot di Lampedusa a una delegazione di ricercatori della Cild (Coalizione italiana per le libertà e i diritti civili), di avvocati dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e di mediatori culturali di IndieWatch, il 6 marzo, poche ore prima dell’incendio e della successiva chiusura per ristrutturazione.
Condizioni di vita da incubo erano già state denunciate, dopo una visita all’hotspot a gennaio, dal Garante delle persone private della libertà, Mauro Palma, che oggi sottolinea ancora come «Lampedusa era e continua ad essere una struttura incongrua e inadeguata perché l’hotspot doveva essere un luogo di transito, invece è diventato un luogo di permanenza soprattutto per le persone più deboli», «da qui la nostra proposta di chiusura e ripensamento perché l’hotspot non è in grado di sostenere le prolungate presenze».
Erano 170 le persone al momento della visita dei volontari. I migranti ascoltati – le cui parole sono contenute in un dossier presentato oggi alla Camera – hanno parlato di tentativi di stupro e atti estremi di autolesionismo. Numerosi cittadini tunisini hanno segnalato l’impossibilità di procedere alla presentazione della domanda di asilo. Il dossier è corredato dalle foto scattate dai migranti. Una ritrae uno squarcio sulla mano di un ragazzo minorenne, provocata – ha riferito – da un cane della polizia, in altre si vedono sui corpi di adulti e bambini segni di manganellate. Dopo la visita, gli avvocati delle organizzazioni hanno presentato cinque ricorsi d’urgenza alla Corte Europea dei diritti dell’uomo: vertevano – spiegano – principalmente sulle condizioni disumane del centro, in particolare sulla vulnerabilità di donne e bambini. Con la chiusura temporanea del centro hanno in parte perso ragione d’essere, perché i migranti sono stati nel frattempo trasferiti in un’altra struttura. Nel loro interesse annunciano comunque ricorsi ordinari per chiedere dell’Italia al pagamento di un indennizzo. La nuova denuncia su Lampedusa arriva nel giorno in cui l’Italia riceve un giudizio positivo da parte del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio di Europa, che lo scorso giugno aveva visitato vari hotspot, tra cui proprio Lampedusa, e centri di permanenza per i rimpatri (Cpr). Il Comitato si dice «impressionato dal modo in cui le autorità italiane gestiscono quotidianamente la situazione», ribadisce la necessità di un approccio europeo coordinato e di un sistema di sostegno per affrontare il fenomeno dell’arrivo in massa di migranti. «Quello che dice il comitato è giusto e importante – osserva il presidente di Cild, Patrizio Gonnella – ma va contestualizzato al momento in cui è stata compiuta la visita, visto che la situazione varia in base all’andamento degli sbarchi».