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Produzione agricola, si perde il 40%

Di Enzo Minio |

Agrigento – Una calura così pesante non si registrava nell’Agrigentino da almeno 100 anni. Lo affermano migliaia di agricoltori e tutte le organizzazioni professionali provinciali i quali sono fortemente preoccupati del fatto che siccità e caldo hanno già procurato danni alla produzione agricola tra il 40 e il 50 per cento. I comparti agricoli più colpiti sono i vigneti, gli uliveti, in parte gli agrumeti, mentre le colture ortive sono state letteralmente cancellate.

A lanciare l’allarme sul grave stato di calamità naturale sono da qualche giorno le organizzazioni professionali agricole, e in particolare la Cia di Agrigento, con il presidente provinciale Pippo Di Falco, il quale sta ricevendo segnalazioni di danni da ogni angolo dalla provincia.

“A soffrire di più sono quelle aree e territori dove non scorrono fiumi e dove non vi sono dighe che d’inverno hanno immagazzinato acqua ad uso irriguo. Ad oriente, tra Licata, Campobello, Camastra Grotte, con qualche eccezione per Naro e Canicattì, dove c’è l’acqua della diga San Giovanni, soffrono la sete, con la produzione compromessa, i vigneti con uva da mosto e da tavola, gli uliveti, con le colture ortive già da luglio scomparse. La forte calura, oltre i 40 gradi quotidiani, forse migliorerà la qualità del prodotto, ma certamente ridurrà la quantità di uva e di olive. I danni sono già visibili nelle campagne, le aziende agricole sono in sofferenza e con le organizzazioni stiamo chiedendo al governo regionale e nazionale il grave stato di calamità naturale”.

Non è migliore la situazione nella parte centrale ed occidentale del territorio agrigentino. A Siculiana, a Montallegro e in parte a Cattolica Eraclea, paesi caratterizzati dalla buona produzione del pomodoro “siccagnu”, vaste estensioni sono state cancellate dalla calura. Nell’Agrigentino, poche sono state le famiglie che hanno fatto le conserve di salsa di pomodoro. Gli uliveti dei comprensori di Ribera, Calamonaci, Lucca Sicula, Burgio e Caltabellotta presentano piante stressate dal caldo e olive che non si sono potute sviluppare al meglio e che, se non pioverà, non si potranno raccogliere.

“E’ fortunato il comparto agrumicolo di Ribera e di Sciacca, i cui impianti sono serviti il primo con l’acqua della diga Castello di Bivona e di Prizzi e il secondo con quella della diga “Arancio” – afferma Giovanni Caruana, responsabile di zona della Cia – il danno economico c’è sempre perché migliaia di agricoltori in passato hanno irrigato nella stagione gli agrumeti 5-6 volte, mentre oggi le irrigazioni sono raddoppiate con pesante aggravio di spesa per le aziende agricole. Tanti comuni stanno riunendo i consigli per chiedere lo stato di calamità naturale. Forse migliorerà la qualità del prodotto (uva, olio), ma la quantità calerà terribilmente”.

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