Tribunale Agrigento
Non luogo a procedere per corruzione
Salvatore Trigona, 55 anni, maresciallo aiutante della guardia di finanza, Francesco Barba, 58 anni, maresciallo aiutante della guardia di finanza, in servizio alla tenenza di Porto Empedocle e Salvatore Manuello, 64 anni, maresciallo maggiore dei carabinieri, in servizio alla compagnia di Licata erano accusati di avere favorito gli imprenditori Angelo Incorvaia e Valerio Peritore, 54 anni, di Licata della Omnia Srl
Intercettazioni inutilizzabili, autorizzazioni mai prodotte, nessuna connessione fra le varie ipotesi di reato. Queste le motivazioni che hanno indotto il gup Giuseppe Miceli del Tribunale di Agrigento a dichiarare non luogo a procedere nei confronti di Salvatore Trigona, 55 anni, maresciallo aiutante della guardia di finanza, in servizio alla Direzione investigativa antimafia; Francesco Barba, 58 anni, maresciallo aiutante della guardia di finanza, in servizio alla tenenza di Porto Empedocle; Salvatore Manuello, 64 anni, maresciallo maggiore dei carabinieri, in servizio alla compagnia di Licata; Angelo Incorvaia, 58 anni, di Canicattì e Valerio Peritore, 54 anni, di Licata; questi ultimi due sono imprenditori, legali rappresentanti della Omnia Srl, società che opera nel campo della nettezza urbana. I due imprenditori, secondo quanto ipotizzato dalla Procura, avrebbero corrotto i tre marescialli avendone in cambio informazioni riservate su indagini in corso che li riguardavano e sull'istruttoria relativa alle certificazioni antimafia. Il procedimento è quello che ipotizza una serie di favori, regalie e promesse di posti di lavoro in cambio di informazioni riservate su indagini in corso e sulle istruttorie antimafia nei confronti dell’azienda Omnia. Le intercettazioni non sarebbero utilizzabili. A metterlo per iscritto è il giudice per l’udienza preliminare. Il gup Miceli sottolinea soprattutto come «appare fondata» l’istanza di inutilizzabilità delle intercettazioni, avanzata dagli avvocati Gioacchino Genchi e Giuseppe Barba, difensori di Angelo Incorvaia e Valerio Peritore. Le intercettazioni sarebbero state eseguite in un procedimento penale iscritto per fatti e reati del tutto diversi. Infatti, secondo la Cassazione, persiste «il divieto di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate», tranne «quando hanno ad oggetto reati connessi». In questo caso, però, «non emerge in maniera puntuale che tra di essi e quelli per i quali le intercettazioni erano state a suo tempo autorizzate sussiste una qualche effettiva ipotesi di connessione».