PALERMO – Rompendo un muro di omertà storico, per la prima volta, decine di commercianti e imprenditori della provincia di Agrigento per anni vittime del racket, hanno iniziato a collaborare con gli inquirenti facendo nomi e cognomi degli esattori del pizzo. Molti estorsori però sono tornati liberi dopo la decisione del tribunale del Riesame di annullare i provvedimenti cautelari emessi per taglieggiatori e capimafia. E vittime e carnefici potrebbero tornare a trovarsi faccia a faccia.
Un paradosso che accade nell’Agrigentino, teatro a fine gennaio della più grossa operazione antimafia mai fatta nella zona. Cinquantotto arresti, con boss di prima grandezza finiti in cella insieme ad esattori del pizzo, gregari e prestanomi. L’hanno chiamata «operazione Montagna» perché a tappeto sono stati disarticolati i vertici di tutti i clan dell’area montana. Cosche come quella di Raffadali, Aragona, S. Angelo Muxaro e San Biagio Platani, Santo Stefano di Quisquina, Bivona, Alessandria della Rocca, Cammarata e San Giovanni Gemini si sono svegliate «orfane» dei loro capi.
In 21, ma potrebbe essere solo l’inizio, hanno già lasciato il carcere su disposizione del tribunale del Riesame di Palermo che ha annullato una sfilza di provvedimenti cautelari. Alcuni a carico di storici capimafia come Raffaele Fragapane, Antonino Vizzì, Giuseppe Vella, Luigi Pullara e Giuseppe Blando.
Il tribunale del Riesame si è preso 45 giorni per il deposito della motivazione delle decisioni. Prima di allora la Procura non potrà ricorrere in Cassazione, quindi nel frattempo gli scarcerati restano liberi. Paradossalmente, invece, rimane in carcere Giuseppe Quaranta, ex capomafia di Favara che, dalla fine di gennaio, ha cominciato a collaborare con i magistrati che hanno coordinato l’inchiesta: i pm Gery Ferrara, Claudio Camilleri e Alessia Sinatra. Quaranta, che si è detto ormai «deluso» da Cosa nostra e per questo ha scelto di parlare coi pm, ha ammesso di avere rivestito un ruolo di vertice nel clan fino al 2013-2014, ha parlato di estorsioni e di traffico di stupefacenti e ha indicato i capimafia della provincia.
Le udienze davanti al tribunale del Riesame continueranno nei prossimi giorni. E se, come si sospetta, alla base degli annullamenti c’è un vizio formale come il difetto di motivazione dell’ordinanza emessa dal gip, che per i giudici non sarebbe stata sufficientemente argomentata, le porte del carcere potrebbero aprirsi per decine di altri detenuti.
L’indagine, coordinata dal Procuratore Francesco Lo Voi, racconta di una mafia che parla un linguaggio antico, perpetua organigrammi tradizionali, fa affari con la droga e le estorsioni e si vanta di esistere «fin dalla storia del mondo». Ma non disdegna business nuovi. Ovunque ci siano fondi pubblici su cui mettere mano i clan accorrono. Dall’inchiesta è emerso, infatti, tra l’altro che il capomafia di Cammarata Calogerino Giambrone avrebbe cercato di infilarsi nella gestione di una coop, la San Francesco di Agrigento, che si occupa di accoglienza di migranti.