Da killer spietato all'invito a rispettare la Legge. Dalla sete di vendetta con tanti morti ammazzati sulla coscienza, ad un percorso di redenzione e pentimento nato in cella, dove sta scontando l'ergastolo per diversi omicidi, commessi durante la guerra di mafia, che negli anni Ottanta e Novanta insanguinò la provincia di Agrigento.
Giuseppe Grassonelli, soprannominato Malerba per il suo carattere da bullo, oggi 57enne, già capo della "Stidda" di Porto Empedocle, in carcere si è anche laureato in lettere. Ha raccontato la sua storia in un libro, "Malerba", scritto in compagnia del giornalista, nonché suo mentore letterario, Carmelo Sardo. Attualmente, dopo moltissimi trasferimenti, e un lungo periodo al 41bis, è detenuto nel carcere di "Opera" a Milano in alta sicurezza.
Per la giustizia italiana i delitti di cui si è macchiato sono talmente gravi da non poter consentire nemmeno il più breve permesso premio. Questo almeno fino a qualche settimana fa. Adesso si è aperto uno spiraglio, e Grassonelli potrebbe ben presto, anche se per poche ore o pochi giorni, uscire dal carcere.
La Cassazione ha accolto il ricorso dell'ergastolano empedoclico, ed ha annullato l'ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Milano, con rinvio per nuovo giudizio del Giudice di Sorveglianza che, dovrà a questo punto necessariamente verificare i requisiti di ammissibilità del beneficio.
All'esito dei quali Grassonelli potrebbe ottenere il primo permesso premio, dopo ben trent'anni dalla sua cattura, avvenuta nel lontano 1992.
«Avrei continuato a uccidere se non mi avessero arrestato: la rabbia verso chi mi ha privato di persone che amavo mi facevano sentire nel “giusto”. È vero, il dovere di un uomo civile è quello di rivolgersi alle Istituzioni: a nessuno deve essere consentito di farsi giustizia da sé. Ma negli anni ’80 non era così semplice», ha scritto l'ex boss nel libro.
Grassonelli, è stato uno dei protagonisti della guerra di mafia sferrata dagli "stiddari” a Cosa Nostra. Vittima di una strage in cui la cosca avversa gli sterminò la famiglia, rimasto ferito e vivo per miracolo, scampò ad altri due agguati prima di passare al contrattacco per vendetta e per sopravvivenza.
«Sono stato in passato un barbaro criminale, ho offeso la vostra dignità di persone per bene, e non ho avuto nessun rispetto di tutti quei principi fondamentali che presiedono alla convivenza civile. A tutti voi chiedo rispettosamente scusa», scrive l’empedoclino da uomo pentito, nella richiesta al magistrato.