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Licata, mafia a braccetto con massoni: in sette finiscono in manette

Di Redazione |

PALERMO – Carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Agrigento hanno eseguito un provvedimento di fermo, emesso dalla Dda di Palermo, nei confronti di sette persone indagate per associazione mafiosa e concorso esterno in associazione mafiosa. Con Giovanni Lauria, 79 anni, che i carabinieri considerano il boss di Licata, sono finiti in manette, nel blitz notturno degli uomini dell’Arma, il figlio Vito, 49 anni, e un funzionario della Regione siciliana, Lucio Lutri, 60 anni, che con i due Lauria divide l’appartenenza alla massoneria. Gli altri arrestati sono Angelo Lauria, 45 anni, Giacomo Casa, 44 anni, Giovanni Mugnos, di 53 e Raimondo Semprevivo di 47 anni.

Lauria junior è maestro venerabile della loggia di Licata «Arnaldo da Brescia», appartenente al Grande Oriente d’Italia (Goi). Lutri, dipendente dell’assessorato all’Energia, dove si occupa di finanziamenti pubblici, è stato maestro venerabile della loggia palermitana «Pensiero e azione» (oggi è «copritore interno» nella stessa loggia, inaugurata a Palermo nel 2016).

«L’associazione mafiosa – scrivono i pm nel provvedimento di fermo – ha avuto garantita da Lutri la sua disponibilità e l’utilizzo di importanti canali massonici, ottenendo vantaggi consistenti». Lutri è un uomo dalla doppia identità, che dice di sé: «La mattina quando mi sveglio con una mano tocco il crocifisso e dra banna (di là, ndr) ho il quadro di Totò Riina e mi faccio la croce». Convinto che le sue relazioni lo avrebbero protetto da ogni pericolo, Lutri diceva: «Ma chi minchia ci deve fermare più?».

Rilevante anche la figura di Angelo Occhipinti, uscito dal carcere due anni fa e alleato dei Lauria. Il suo «ufficio» era un garage, dove aveva installato un disturbatore di frequenze che accendeva ogni volta che organizzava incontri coi boss. Ma l’apparecchio non ha impedito agli investigatori d’intercettare comunque le conversazioni.

L’indagine antimafia, denominata «Halycon», ha preso spunto dalle relazioni tra il capomafia Salvatore Seminara (ritenuto al vertice della famiglia di Caltagirone, già condannato e sotto processo per mafia e il duplice omicidio a Raddusa a Pasqua 2015 ) e alcuni esponenti mafiosi licatesi capeggiati da Giovanni Lauria per spartirsi appalti per la realizzazione di un complesso turistico alberghiero e la demolizione di immobili abusivi nel Comune di Licata. Il Ros ha documentato riunioni tra Lauria e i suoi più fidati sodali con gli esponenti della famiglia mafiosa di Caltagirone individuando quali esponenti della cosca licatese Giovanni Mugnos, Giacomo Casa, Angelo e Vito Lauria, quest’ultimo, figlio del boss Giovanni, era maestro venerabile di una loggia a Licata.

Il gruppo mafioso – dice l’accusa – si avvaleva di Lucio Lutri, insospettabile funzionario della Regione Siciliana a sua volta ex maestro venerabile di una loggia massonica con sede a Palermo, che metteva a sua disposizione la «privilegiata rete di rapporti intrattenuti con altri massoni professionisti ed esponenti delle istituzioni». Lutri, secondo l’inchiesta, si è anche rivolto a Giacomo Casa «al fine di costringere con metodi mafiosi un imprenditore che non voleva saldare un debito nei confronti di una persona a lui vicina». Nei dialoghi intercettati dai carabinieri Mugnos e Lutri sottolineano la necessità di non utilizzare i telefoni in quanto intercettabili e quindi pericolosi come «bombe».

Giovanni Lauria detto il professore viene indicato dai suoi uomini come mafioso «vecchio stampo» che rispetta le regole della «vecchia mafia», come il disprezzo per il traffico di droga e il divieto di uccidere donne e bambini, ma inflessibile nel punire chi si è reso responsabile di quella che lui considera «una mancanza».

Nell’ordinanza che ha portato ai sette fermi c’è anche il nome del deputato regionale Carmelo Pullara, che come accertato dagli investigatori sarebbe iscritto alla loggia massonica «Arnaldo da Brescia». Il politico, lo scorso giugno, si era dimesso da componente della commissione Antimafia dopo avere appreso che il suo nome compariva nell’indagine.

Il deputato si sarebbe interessato per risolvere una situazione a cuore a Giovanni Lauria, ritenuto il capo della cosca di Licata.

«Ancora una volta, amaramente, constato di correre il rischio di finire nel tritacarne mediatico, pur non essendo in alcun modo coinvolto in una vicenda di cui non conosco nemmeno i contorni», ha detto dal canto suo il deputato regionale.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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