LA RETATA
La droga, le estorsioni e le assunzioni pilotate, ad Agrigento evitata una guerra di mafia: 23 fermi
Ci anche altri 20 indagati, tra le vittime delle estorsioni la ditta che si occupa della raccolta dei rifiuti nel capoluogo
Avevano anche costretto l’amministratore della società che si occupa della raccolta dei rifiuti ad Agrigento ad assumere cinque persone a loro legate per vincoli familiari o comunque di loro fiducia o anche l’avere costretto una società che si occupa di carburanti a licenziare una persona per assumerne un’altra da loro segnalata, oltre che l’estorsione ad un bar presso il quale mangiavano e bevevano a sbafo.
C’è anche questo nelle carte che hanno portato all’alba i carabinieri di Agrigento ad eseguire un provvedimento di fermo per 23 persone (altre 20 sono indagate ma al momento senza che per loro siano state disposte misure cautelari) emesso dalla Dda di Palermo. La retata ha visto il fermo di persone ad Agrigento, Favara, Canicattì, Porto Empedocle, Santa Margherita Belice, Mazara del Vallo, Partanna, Campobello di Mazara, Castelvetrano e Gela. I militari di Agrigento si sono avvalsi del supporto dei colleghi dei Comandi Provinciali di Palermo, Trapani e Caltanissetta, del Nucleo Eliportato Cacciatori di Sicilia, dei Nuclei Cinofili di Palermo e Nicolosi e del 9° Nucleo Elicotteri di Palermo.
Le accuse
Tutti i fermati sono gravemente indiziati, a vario titolo, di associazione mafiosa facendo essi parte di “cosa nostra” e di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e altro.
L’inchiesta è nata dalle indagini del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo Carabinieri di Agrigento che hanno preso il via nel dicembre del 2021 e orientate a capire le dinamiche legate alla ricostruzione dell’organigramma e delle attività criminali delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e di Agrigento/Villaseta, con probabilmente a capo rispettivamente Fabrizio Messina, pregiudicato di 49 anni, fratello di Gerlandino Messina, il boss ergastolano e Pietro Capraro, pregiudicato di 39 anni. Si tratta di vecchie conoscenze delle dinamiche mafiose dell’Agrigentino a dimostrazione – spiegano gli investigatori – che, pur essendo stata sensibilmente intaccata nel corso degli anni da varie operazioni, “cosa nostra” agrigentina è tutt’oggi pienamente operante, dotata di ingenti disponibilità economiche e di numerose armi, per di più in un contesto caratterizzato da una instabilità degli equilibri mafiosi faticosamente raggiunti nel tempo, cui si aggiungono i sempre più pericolosi, persistenti e documentati collegamenti dei carcerati con l’esterno.
È stato riscontrato, infatti, un sistematico utilizzo di telefoni cellulari da parte di persone recluse per dare ordini e direttive all’esterno.
Oltre alla estorsione alla ditta dei rifiuti per fare assumere familiari e l’aver costretto una ditta a licenziare un uomo per assumerne un altro di loro fiducia, al gruppo dei fermati sono anche e a vario titolo addebitati l’incendio di due autocarri intestati a una ditta di costruzioni, l’estorsione all’amministratore della società aggiudicataria dei lavori di riqualificazione della Piazza della Concordia a Villaseta per assumere un operaio a loro gradito ma anche alla ditta aggiudicataria in subappalto assumere operai a loro graditi; la rapina al distributore DB di Villaseta: l’estorsione al titolare di un bar di Agrigento per servire cibi e bevande senza pagare, l’estorsione al titolare di un esercizio commerciale di Agrigento a corrispondere mensilmente mille euro; l’incendio di un furgone intestato ad una rivendita di bevande di Porto Empedocle e anche l’esplosione di diversi colpi d’arma da fuoco alla saracinesca, e i colpi di pistola alla porta d’ingresso dell’abitazione di un uomo di Agrigento “colpevole” di aver avuto un litigio con il figlio di uno dei fermati.
Il traffico di droga
Gli esponenti di vertice delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e Agrigento-Villaseta sono anche accusati di avere diretto due ulteriori distinte associazioni dedite al traffico di droga in un regime di monopolio in provincia di Agrigento. Lo stupefacente arrivava grazie ai contatti e ai rapporti commerciali non solo con i gruppi criminali delle altre province siciliane ma anche con altri gruppi in Belgio, Germania e Stati Uniti. Nel corso dell’indagine, infatti, sono stati sequestrati oltre 100 kg di hashish, oltre 6 kg di cocaina e, lo scorso mese di novembre, anche la somma in contanti di 120 mila euro contenuta in cinque pacchi sottovuoto occultati all’interno di un’autovettura.
Di recente però qualcosa si è rotto: vi è stata un’improvvisa e allarmante recrudescenza di atti intimidatori realizzati anche mediante l’utilizzo di armi, dovuta forse all’imposizione del rispetto della “competenza” territoriale e ai tentativi di osteggiare l’egemonia del gruppo mafioso al vertice della famiglia di Agrigento-Villaseta. Vi era quindi il rischio di una vera e propria “guerra” di mafia.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA