AGRIGENTO. «Vi era un meccanismo di permessi turistici sfruttati per fare arrivare questi lavoratori che venivano poi privati del passaporto, alloggiati in case procurate dalla stessa organizzazione. L’orario di lavoro in buona parte notturno: iniziavano alle 3 e proseguivano fino alle 17 ed oltre. Le paghe erano di circa 30 euro, ma i lavoratori pagavano anche i mezzi di trasporto e gli alloggi per dormire. Il lavoro avveniva sempre sotto il rigido controllo di guardiani e abbiamo avuto anche un caso di una donna che ha abortito durante le fatiche sui campi».
L’ha detto il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, in merito all’inchiesta sul caporalato, messa a segno fra Campobello di Licata, Canicattì e Naro, chiamata Ponos dal nome di una divinità greca. I fermi, a metà mattinata, sono diventati 8: anche l’ultimo destinatario è stato rintracciato.
«La nuova normativa sul caporalato non ha dato i risultati che il governo e il parlamento si aspettavano. I motivi? L’omertà in primo luogo, le organizzazioni criminali lucrano sul lavoro nero e chi gestisce questi giri ha la consapevolezza di non andare incontro a denunce ed esposti», ha aggiunto Patronaggio in conferenza.
«Per sfruttare il lavoro nero – ha continuato Patronaggio che ha coordinato l’inchiesta insieme al pm Gloria Andreoli – bisogna avere le spalle larghe, sapere che nessuno ti denuncerà. Il lavoro nero colpisce in prima battuta gli extracomunitari, ma non solo. Danneggia anche i siciliani che faticano a ritagliarsi uno spazio lavorativo dignitoso e, in generale, rappresenta un grave danno per l’economia».