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Il boss mafioso e l’ex capo ultrà della Juve d’accordo per gestire il traffico di droga

Di Redazione |

Dal «bravo ragazzo» diventato capo degli ultras della Juventus al boss emergente di Agrigento Villaseta. Li univa il traffico della droga ma soprattutto una caratura criminale «rozza e spietata». Tanto da essere usata per molestare donne e minacciare di uccidere bambini.«Capace di ogni nefandezza». Usa un’immagine forte Antonio Amoroso, capocentro della Dia di Palermo, per descrivere i caratteri nuovi del gruppo mafioso coinvolto nell’operazione Kerkent culminata con 32 arresti e con accuse che vanno dall’ associazione mafiosa al traffico della droga, alla detenzione di armi. Ma c'è anche un caso di violenza sessuale che rientra nel metodo feroce con cui il gruppo imponeva il proprio predominio. 

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Il capo sarebbe Antonio Massimino, 51 anni, che aveva messo in piedi un «franchising della droga». Al suo fianco l’inchiesta ha individuato Andrea Puntorno che a Torino, dove si era insediato per alcuni anni, era diventato il leader del tifo organizzato sotto le bandiere del gruppo dei «Bravi ragazzi": un nome che era stato scelto ispirandosi al film «Goodfellas» di Martin Scorsese. Ed era un tifo inquinato che, all’ombra della 'ndrangheta, gestiva il bagarinaggio. La società cedeva i biglietti e i «bravi ragazzi» li rivendevano a prezzi maggiorati al mercato nero. A questo lucroso affare ("ma non è un reato», proclamava Puntorno) il capo degli ultras bianconeri univa il traffico della droga che partiva dalla Calabria e dall’Albania e, via Palermo, arrivava a Torino, Agrigento, Parma e Catania.

Per approfondire leggi anche: IL BOSS CHE VOLEVA UCCIDERE I BAMBINI

Poi Puntorno era stato arrestato, condannato a 6 anni e mezzo, dichiarato «socialmente pericoloso». E in sovrappiù gli erano stati confiscati 500 mila euro.

Da un anno il «bravo ragazzo» juventino era tornato ad Agrigento. E qui aveva rafforzato il proprio ruolo criminale legandosi ad Antonio Ciancimino. Per gli investigatori, Ciancimino è un boss in carriera che ha introdotto sistemi di estrema rozzezza. Lo dimostrano alcuni episodi finiti nell’ inchiesta coordinata dalla Dda di Palermo. 

Era anche questo un modo per affermare la propria supremazia criminale che, in altre occasioni, si era manifestata con la minaccia aperta di essere pronto a fare uccidere anche bambini.

L’uso di minacce e violenze era il collante di un gruppo criminale impegnato ad assumere il controllo del traffico della droga: cocaina e hashish, soprattutto. Ma anche ketamina. Di solito usata per dopare i cavalli, in qualche caso è stata dirottata sul mercato degli stupefacenti.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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