Nel 1926 si verificò un attentato contro il duce Benito Mussolini. In questa situazione di stallo, si verificò un grave attentato alla vita di Benito Mussolini che vide Giovanni Antonio Colonna fortemente sospettato di essere stato mandante e organizzatore del delitto.
L’attentato contro il Duce, uno dei tanti in quegli anni, avvenne a Roma il 7 aprile 1926, all’uscita dal Campidoglio, per mano di una signora irlandese, tale Violet Gibson, la quale gli sparò alcuni colpi di pistola colpendolo (di striscio) al naso. Come nota Michele Beraldo dalle indagini e dagli interrogatori venne fuori che la Gibson per portare a termine il suo progetto era stata appoggiata da “qualcuno” in Italia e a Roma in particolare.
L’attentatrice dichiarò a verbale che era stata aiutata e indirizzata sull’obiettivo da membri della “Società Teosofica Indipendente” e in particolare dal duca Giovanni Antonio Colonna di Cesarò il quale, oltre ad essere un leader parlamentare della secessione aventiniana, era anche un esponente di primo piano di detta società teosofica che, per altro, aveva sede nell’edificio dove abitava lo stesso Di Cesarò.
La Gibson dichiarò di conoscere da tempo il duca nell’ambito delle frequentazioni della società teosofica a livello europeo e che venne a Roma su richiesta del leader della Democrazia Sociale, il quale provvide ad alloggiarla in un albergo in via Gregoriana di fronte alla propria abitazione, e le fornì la pistola per l’attentato al Duce.
Il Colonna, sottoposto a diversi interrogatori, negò ogni responsabilità in ordine all’attentato anche se ammise di avere conosciuto la Gibson a Monaco di Baviera, nel 1912, durante gli incontri europei della società teosofica.
Secondo la polizia nel corso di una perquisizione in casa del Di Cesarò furono trovati documenti che testimoniavano l’esistenza di un complotto di tendenza monarchica per rovesciare il regime.
Si disse anche che, in quello stesso periodo, il Colonna, vista anche la deludente conclusione della secessione aventiniana, abbia sostenuto, parlando con il principe Pietro Ercolani, che l’unico mezzo rimasto per ristabilire la democrazia in Italia era l’assassinio di Mussolini.
Insomma, vi erano diversi elementi a carico del leader di Democrazia Sociale, il quale, come già detto, negò risolutamente ogni addebito.
L’istruttoria si bloccò anche a seguito della ritrattazione che Violet Gibson fece a proposito del coinvolgimento del duca di Cesarò nell’attentato.
La donna fu considerata “malata di mente” e rinchiusa in un ospedale psichiatrico.
Politicamente, al fascismo faceva più comodo avvalorare la tesi della “pazzia” che quella dell’attentato politico che presupponeva una certa organizzazione antifascista.
Lo stesso Mussolini perdonò l’attentatrice che, dopo alcuni mesi di cure in Italia, verrà spedita in Gran Bretagna, a Londra, per essere ricoverata in una clinica psichiatrica ove morì nel 1956.