PALERMO – La smentita ufficiale ha messo fine alle voci che si sono inseguite per tutto il giorno. La procura di Agrigento, che indaga sulla privazione della libertà dei profughi, costretti da giorni a restare sulla Diciotti, non ha fissato alcun interrogatorio del ministro dell’Interno Matteo Salvini che, comunque, essendo un senatore, senza l’autorizzazione del Parlamento potrebbe essere sentito al più come testimone. Ma l’inchiesta va avanti e domani il capo dei pm Luigi Patronaggio volerà a Roma per sentire i funzionari del Viminale che si sono occupati della vicenda.
L’individuazione del reato e la competenza a indagare sono le questioni più spinose al centro del lavoro dei magistrati che indagano su nave Diciotti. La Procura di Agrigento, che per prima ha aperto un fascicolo sul blocco dei migranti, ha inizialmente ipotizzato i reati di sequestro di persona e arresto illegale. La contestazione, mano a mano che si acquisiscono nuovi atti, potrebbe, però, essere modificata: a marzo scorso è stato introdotto nel codice penale il reato di sequestro di persona a scopo di coazione. L’articolo è il 289 ter e prevede che «chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli 289-bis e 630, sequestra una persona o la tiene in suo potere minacciando di ucciderla, di ferirla o di continuare a tenerla sequestrata al fine di costringere un terzo, sia questi uno Stato, una organizzazione internazionale tra più governi, una persona fisica o giuridica o una collettività di persone fisiche, a compiere un qualsiasi atto o ad astenersene, subordinando la liberazione della persona sequestrata a tale azione od omissione, è punito con la reclusione da 25 a 30 anni». La norma, per come è formulata, potrebbe inquadrare in modo più specifico la vicenda della Diciotti.
L’altro aspetto da chiarire è quello della competenza che ruota attorno al momento in cui il reato sarebbe stato commesso. Se si dovesse accertare che il divieto che di fatto ha illegittimamente limitato la libertà di sbarco dei profughi è stato disposto quando la Diciotti era a Lampedusa, sarebbe competente la Procura di Agrigento. E qualora la responsabilità si individuasse in capo a esponenti del Governo poi l’inchiesta dovrebbe essere trasmessa al tribunale dei ministri di Palermo.
Se, invece, si stabilisse che il reato è stato commesso quando, dopo l’individuazione di Catania come porto sicuro, la nave era nelle acque della città etnea, allora legittimata a indagare sarebbe la Procura di Catania o, in caso di reato ministeriale, il tribunale dei ministri di Catania. I pm etnei, nei giorni scorsi, hanno comunque aperto un fascicolo di atti relativi: accertamenti preliminari che potrebbero portare a una inchiesta vera e propria.
Immediato è arrivato il commento del ministro Salvini: «Interrogasse me, andasse dal capo. Non andasse a interrogare i funzionari, che svolgono le direttive che il responsabile dà, cioé io. Se questo magistrato vuole capire qualcosa gli consiglio di evitare i passaggi intermedi. Siccome c’è questo presunto sequestratore e torturatore, sono disponibile a farmi interrogare anche domani mattina».