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A Lampedusa tra vita e dramma

Di Carmela Marino |

ROMA – Fuocoammare, il film documentario di Gianfranco Rosi, scelto oggi come candidato italiano nella selezione dell’Oscar per la categoria film non in lingua inglese, racconta la vita quotidiana nell’isola di Lampedusa, stretta tra riti sempre uguali di pescatori e isolani e la tragedia contemporanea degli sbarchi dei migranti. Il regista, premiato con il Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia per Sacro G.R.A. si è trasferito nell’isola per un anno e mezzo durante il quale ha preso confidenza con i ritmi di questa scheggia nel mar Mediterraneo isolata eppure ponte e frontiera nel nuovo esodo biblico dei profughi. Il film «è dedicato alle persone che hanno dato dignità a gente che l’aveva persa, un esempio di decenza e di orgoglio», erano state le parole del presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz, alla presentazione del film di Rosi, il 27 aprile scorso, mentre la commozione e l’applauso dei mille lampedusani che il 16 aprile si sono rivisti in occasione della proiezione evento voluta da Rai Cinema in piazza di Fuocoammare (l’isola non ha un cinema), è stato per il regista romano l’emozione forse più grande.

A fare quasi da guida a questo mondo circondato dal mare, gli occhi semplici e pieni di curiosità di Samuele Puccillo, 12 anni. Figlio di pescatori, gira l’isola con il suo amico Mattias a caccia di uccelli da colpire con le loro fionde. Vive con la nonna Maria e lo zio, ex marinaio pescatore atlantico, e soffre solo di una cosa: quando va in barca ha il mal di mare. C’è poi Pietro Bartolo, il direttore sanitario dell’Asl locale, che ormai tutti dopo Fuocoammare conoscono e ammirano. Un uomo buono che cura paesani e immigrati con la stessa passione. Uno che ne ha viste tante, ma pieno di un’umanità che gli fa a un certo punto dire:”è dovere di un uomo che sia davvero un uomo di aiutare queste persone». Ci sono poi le dediche di Giuseppe il dj di Radio Delta, «la moglie Maria per il marito Giacomino dedica Amuri di carritteri» e via con canzoni siciliane e non.

E i migranti? Il racconto di Rosi viaggia su due binari paralleli: il soccorso e la vita quotidiana sull’isola. Unico trait d’unione è il medico Bartolo, un uomo che non accetta l’assuefazione neppure professionale a tutta quella sofferenza e che appella lo spettatore all’accoglienza, alla reazione, all’aiuto in un “monologo” commovente. L’acme del film è proprio la realtà più tragica che irrompe all’improvviso con la documentazione di un naufragio, evento scioccante per il regista stesso: la stiva di un barcone piena di cadaveri.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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