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Trapianti, 3,7 anni attesa per cuore nuovo in Italia, organo hi-tech fa da ponte

A livello internazionale 87 pazienti lo hanno utilizzato dal 2021, 4 in Italia

Di Redazione |

Parigi, 4 dic. (Adnkronos Salute) – Un ‘cuore nuovo’ è ancora la principale, a volte unica, soluzione in caso di insufficienza cardiaca avanzata. Ma il trapianto ha un limite importante: quello della disponibilità di organi. Un problema globale considerato che i 6.000 trapianti realizzati nel mondo ogni anno coprono appena il 10% delle necessità totali. In Italia sono stati 370 i trapianti di cuore effettuati nel 2023, ma i pazienti in lista di attesa erano 668. E i tempi medi sono di 3,7 anni, con una mortalità a 6 mesi, dopo l’inserimento nella lista, di circa il 15%, in assenza di trapianto di cuore o impianto di supporto meccanico alla circolazione del sangue. La soluzione ‘ponte’, disponibile da qualche anno, è il cuore artificiale totale, che sostituisce l’intero organo nella fase di attesa del trapianto definitivo ai pazienti con insufficienza cardiaca biventricolare terminale che non rispondono più a terapie mediche o portatori di Vad (ventricular assist device). A produrlo è l’azienda di tecnologie mediche Carmat, a Bois-d’Arcy (Parigi), che il prossimo anno sperimenterà un modello più innovativo che si candida a diventare terapia definitiva, come ha annunciato la stessa azienda in un incontro con i giornalisti nella sua sede alle porte della capitale francese. Una scelta legata anche al costante aumento dell’insufficienza cardiaca avanzata, grave patologia caratterizzata dall’incapacità del cuore di pompare efficacemente sangue nell’organismo. Oggi riguarda 64 milioni di persone nel mondo, con una mortalità altissima che varia a cinque anni tra il 50% e il 75%. In Italia l’insufficienza cardiaca è responsabile di oltre 200.000 ricoveri annui, con un tasso di mortalità al 50% entro due anni. Dal 2021 sono già stati 87 a livello internazionale i pazienti che hanno utilizzato il cuore artificiale totale (Aeson*), 30 dei quali trapiantati. Tra questi i 4 pazienti italiani che hanno ricevuto il cuore artificiale, al Monaldi di Napoli (2), al Niguarda di Milano (1) e al San Camillo di Roma (1). Tutti sono stati poi trapiantati e sono in vita. Al ‘bridge to transplantation’ si ricorre “quando la sola terapia medica non è in grado di mantenere condizioni di stabilità – afferma Claudio Francesco Russo, direttore Cardiochirurgia e trapianto di cuore del Niguarda di Milano – questo proprio per evitare il rischio di depauperamento di tutte le risorse dell’organismo in conseguenza dell’insufficienza cardiaca, è giusto ricorrere a questi sistemi di supporto meccanico al circolo, comunque definiti, che ci permettono di stabilizzare le condizioni del paziente, mantenergli la qualità di vita, mantenergli la funzione degli organi periferici, mantenere la sua condizione di riserva dell’organismo e affrontare nelle migliori condizioni un intervento di trapianto di cuore”. I dati degli studi disponibili (studio Pivot europeo promosso da Carmat) mostrano il buon recupero dei pazienti dopo l’impianto e il miglioramento delle condizioni di salute, dato che permette di affrontare al meglio il successivo trapianto di cuore. In Francia è in corso Eficas, uno studio prospettico che ha l’obiettivo di arruolare 52 pazienti in 10 centri cardiologici, per raccogliere ulteriori dati aggiuntivi su sicurezza ed efficacia: la sopravvivenza post-impianto di almeno 6 mesi senza eventi gravi o la riuscita del trapianto entro i 6 mesi. Questo sistema, in pratica, promette di far guadagnare tempo al paziente per arrivare al trapianto, e far risparmiare il sistema sanitario, riducendo i continui ricoveri necessari nei casi di insufficienza cardiaca avanzata. Ma il ricorso al cuore artificiale totale, al momento, resta ancora limitato.

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