Sclerosi sistemica, complicanze polmonari prima causa morte pazienti

Di Redazione / 07 Luglio 2022

Roma, 7 lug. (Adnkronos Salute) – Multidisciplinarietà e sinergia tra specialisti, diagnosi precoce e percorsi ospedale-territorio, reti virtuose e partnership tra medici, pazienti, istituzioni e aziende: l’approccio alle malattie rare sta cambiando molto negli ultimi anni, con l’obiettivo di migliorare la qualità e l’aspettativa di vita delle persone che ci convivono. Ma c’è ancora tanto da lavorare, come nel caso della sclerosi sistemica o sclerodermia, patologia cronica con contemporanea presenza di anomalie del sistema immunitario e di alterazioni del distretto vascolare che portano al progressivo sviluppo di fibrosi: una malattia con molte complicanze multiorgano, tra le quali la più rilevante vede il coinvolgimento polmonare. L’interstiziopatia polmonare è, infatti, la principale causa di morte nei pazienti con sclerosi sistemica. È quanto emerso nella conferenza stampa “Malattie rare: il valore della multidisciplinarietà per la diagnosi precoce della fibrosi polmonare nelle persone con sclerosi sistemica”, che si è tenuta nella sala stampa della Camera dei Deputati, su iniziativa dell’onorevole Fabiola Bologna, relatrice del Testo unificato per le Malattie rare.
“Per le persone con sclerosi sistemica – afferma Fabiola Bologna segretario XII Commissione permanente Affari sociali della Camera – la diagnosi precoce è essenziale per evitare complicanze e, grazie a un approccio multidisciplinare e l’individuazione e la mappatura degli Hub dedicati a diagnosi e trattamento, possiamo garantire una presa in carico che costruisca una rete intorno al paziente. La mia interrogazione al ministro della Salute vuole ribadire l’importanza della presa in carico multidisciplinare, il monitoraggio dei centri Hub affinché rispondano a criteri specifici nell’offerta e nel servizio e che siano adeguati alle innovazioni scientifiche e tecnologiche, così da tutelare la corretta e omogenea presa in carico del paziente su tutto il territorio nazionale”.
La sclerosi sistemica è una malattia rara e orfana, con una prevalenza stimata in Italia di 33.9 casi per 100mila abitanti. Ad essere colpite sono soprattutto le donne tra i 30 e i 50 anni. Nonostante la sua bassa frequenza, la patologia ha un impatto economico importante in termini di costi sanitari e perdita di produttività. L’impatto della patologia si fa sentire anche sulla spesa sanitaria che in Italia è elevato, con un costo medio annuo per paziente pari a 11.074 euro.
Le persone con sclerodermia sono generalmente seguite dal reumatologo ma, trattandosi di una malattia sistemica, per migliorare la qualità e l’aspettativa di vita dei pazienti è fondamentale adottare un approccio multidisciplinare che consenta di giungere precocemente alla diagnosi e alla gestione delle complicanze multiorgano, soprattutto nel caso di interessamento polmonare, che rappresenta la complicanza più diffusa della patologia.
“La gestione tempestiva delle complicanze d’organo, soprattutto a livello polmonare e cardiaco – spiega Ilaria Galetti, vicepresidente Gruppo italiano per la lotta alla sclerodermia (Gils) – può fare davvero la differenza per i pazienti con sclerosi sistemica perché consente di monitorare la progressione della patologia e rallentare il danno d’organo ad essa associato”. Tale tempestività “è possibile solo a seguito di una diagnosi precoce – prosegue Galetti – per la quale è necessario un approccio multidisciplinare che deve diventare lo standard della presa in carico, accessibile ai pazienti in tutta Italia. Per questo occorre identificare, sulla base di criteri oggettivi, centri di eccellenza che possano diventare punti di riferimento per la diagnosi e la cura dei pazienti, così come per la formazione degli operatori sanitari e delle figure assistenziali. Infine, non deve venire meno il sostegno alla ricerca, anche attraverso forme di partenariato tra i diversi attori del sistema salute, per promuovere l’innovazione scientifica e tecnologica finalizzata a una migliore gestione e cura dei pazienti”.
L’interstiziopatia polmonare – è stato più volte ribadito durante l’incontro – rappresenta un aspetto cruciale nella gestione e nella prognosi del paziente affetto da sclerosi sistemica: è la principale causa di morte nei pazienti con sclerosi sistemica, responsabile di circa il 35% dei decessi ad essa correlati. Inoltre, è una patologia altamente complessa caratterizzata dallo sviluppo di tessuto cicatriziale e/o accumulo di cellule infiammatorie sulle pareti degli alveoli polmonari, determinando un declino della funzionalità respiratoria, deterioramento della qualità di vita e mortalità precoce. Per questo non è più rinviabile mettere mano al miglioramento dell’iter diagnostico e della presa in carico del paziente.
“Noi specialisti che ci occupiamo di malattie rare autoimmuni – ricorda Marco Matucci Cerinic, professore ordinario di Reumatologia all’università di Firenze – abbiamo il compito di guidare il percorso di consolidamento della cultura della multidisciplinarietà, sensibilizzando i colleghi sul valore delle sinergie tra specialisti al fine di una ottimale presa in carico dei pazienti. Sono stati fatti grandi passi avanti in questa direzione negli ultimi 10-15 anni, e possiamo affermare che la multidisciplinarietà è oggi una realtà nei centri di riferimento, con colleghi di altre specialità che coadiuvano i reumatologi nella valutazione clinica dei pazienti e nella decisione terapeutica. C’è bisogno però di un’organizzazione strutturale del territorio con i centri di primo e secondo livello, e questo è oggi di piena competenza delle regioni”.
“In campo pneumologico – spiega Venerino Poletti, professore di malattie dell’apparato respiratorio, Alma Mater Studiorum Università di Bologna – la multidisciplinarietà è stata applicata inizialmente nella gestione delle interstiziopatie polmonari da lì si è capita la necessità di dover collaborare con il radiologo, con l’anatomopatologo, con l’internista, ma anche con il reumatologo e il cardiologo. In molti centri questa è una pratica quotidiana, perché noi quotidianamente parliamo con gli altri specialisti e questo scambio comunicativo e professionale è stato facilitato dall’avvento del digitale. Questa collaborazione ha portato ad avere un livello di conoscenze più alto, ovviamente, e poi ad avere un vocabolario comune, con un’attività clinica più incisiva. Questa è la direzione da tenere e sviluppare in maniera omogenea su tutto il territorio, perché la multidisciplinarietà non rimanga una aspirazione ma diventi prassi consolidata a beneficio dei pazienti”.
Un ulteriore sostegno può provenire dalle aziende, nell’ambito di iniziative di partenariato che vertono sulla condivisione delle esperienze e delle professionalità. “Credo fermamente nell’importanza del partenariato pubblico-privato – sottolinea Morena Sangiovanni, presidente di Boehringer Ingelheim Italia – in primo luogo perché può aiutare la ricerca nel rispondere ai bisogni clinici insoddisfatti, soprattutto nelle malattie rare. Boehringer Ingelheim investe ogni anno il 20% del proprio fatturato ma bisogna continuare a sostenere un sistema che incentivi e tuteli l’innovazione. Attraverso la collaborazione – sostiene – possiamo garantire un più tempestivo accesso alle terapie per i pazienti con malattie rare: sono già stati fatti importanti passi avanti grazie al testo unico sulle malattie rare e dobbiamo continuare a progredire in questo senso”. Infine, “la condivisione delle esperienze e delle competenze ci può aiutare a supportare diagnosi più precisi e percorsi di cura più integrati. Un obiettivo messo già a fuoco nel Pnrr, ma su cui possiamo continuare a lavorare in sinergia, per raggiungere traguardi che, altrimenti, non sarebbero nemmeno immaginabili”, conclude.

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