(Roma, 17 giugno 2021) – Roma, 17 giugno 2021 – L’impatto ambientale dell’uso delle mascherine – e più in generale dei dispositivi di protezione individuale – è un problema ben noto. Le mascherine usa e getta rappresentano una sfida enorme in termini di gestione e smaltimento dei rifiuti, specie nelle aziende, negli uffici e nelle scuole dove c’è un ricambio quotidiano e massiccio dei dispositivi. Per evitare che i DPI finiscano in strada – o, ancora peggio, sui fondali marini – si moltiplicano le soluzioni alternative – le cosiddette mascherine riciclabili o, più propriamente, riutilizzabili – che cercano di compensare l’invasione delle mascherine monouso. La sfida è tutt’altro che banale: la difficoltà consiste nell’unire la vestibilità, la respirabilità e il comfort – oltre alla biocompatibilità e all’aspetto ecologico – a un livello di sicurezza adeguato. Quando si parla di mascherine lavabili, del resto, si fa generalmente riferimento alle cosiddette mascherine in tessuto – tecnicamente mascherine di comunità – caratterizzate da un’efficacia contenuta, in termini di filtrazione di virus e batteri, rispetto alle mascherine chirurgiche o superiori.
I vantaggi sono evidenti anche in termini di risparmio economico, oltre che di riduzione dei rifiuti. Quanto alla personalizzazione, la stampa di loghi e grafiche può essere estesa a tutta la superficie della mascherina, anche all’interno del tessuto. La stampa a sublimazione mantiene inalterate le caratteristiche di sicurezza del prodotto e si sposa all’attenzione per il comfort, grazie alla morbidezza del materiale che riduce il fastidio di indossare la mascherina per molte ore. Tutte queste caratteristiche rendono la mascherina lavabile un prodotto di riferimento per palestre, associazioni e ristoranti: più in generale, per tutte le attività che – oltre a rispettare l’obbligo di certificazione DPI previsto per le aziende – sono attente all’immagine e alla qualità estetica delle proprie divise e dei propri gadget.
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