Roma, 21 lug. (Labitalia) – “Nelle prossime settimane, ci troveremo di fronte a una mole di cartelle, decine di milioni, che probabilmente non saranno mai incassate dallo Stato. Un governo tecnico avrebbe potuto razionalizzare questo adempimento per garantire la possibilità di pagare l’arretrato e allo stesso tempo ipotizzare nuovi investimenti. E’ sicuramente l’aspetto più preoccupante” degli effetti sul fisco di questa crisi di governo. Così, conversando con Adnkronos/Labitalia, Matteo De Lise, presidente Unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti contabili (Ungdcec), interviene sugli effetti sul fisco della caduta del governo Draghi.
Secondo De Lise “La caduta del governo Draghi, per l’economia del Paese, è un danno molto più grave di quanto si possa oggi immaginare. L’Italia è infatti alle prese con una riforma del fisco incompleta, che ha bisogno di ancora molto lavoro per essere realizzata nel migliore dei modi. Il governo Draghi sembrava sulla buona strada, prima che il lavoro venisse interrotto. Credo che lasciarla sospesa (di fatto, non potrà essere sostenuta durante la campagna elettorale) avrà un impatto negativo, anche perché ricordo che la riforma del fisco era uno dei punti focali del Pnrr”.
Le richieste di tanti sono rimaste inascoltate, secondo De Lise. “Nei giorni scorsi avevamo chiesto alla politica stabilità e chiarezza. In un momento di contrazione economica, guerra, pandemia, servirebbe un fisco che rendesse attrattivi gli investimenti, permettendo di investire la liquidità residua in sviluppo e sostenibilità”, rimarca.
E gli effetti più pesanti, sottolinea De Lise, saranno per cittadini e imprese. “Non si è arrivati neppure alla riforma dell’Irpef, all’adeguamento del cuneo fiscale e alla razionalizzazione del calendario fiscale, richiesta a gran voce dai dottori commercialisti. E resta il nodo della giustizia tributaria, settore alle prese già da oltre due anni, con l’arrivo della pandemia, con serie problematiche che ricadono sui contribuenti. Con il riequilibrio finanziario si poteva pensare di ridurre il cuneo fiscale a carico di aziende e dipendenti, restituendo competitività agli stipendi dei lavoratori, oggi minata dall’aumento dell’inflazione”, conclude.