Treviso, 19 ott.- Con l’Italia in prima linea nel processo di invecchiamento globale, il nostro è un paese ‘pioniere’, ci troviamo in un territorio inesplorato, privo di modelli precedenti da cui trarre insegnamento. Caratterizzata da livelli estremi in tutti i suoi indicatori demografici, l’Italia offre frontiere sconosciute di sperimentazione per affrontare l’invecchiamento a tutti i livelli, dall’individuo alla famiglia, dai territori alla società. Sono queste le ragioni che hanno spinto le eccellenze della ricerca sull’invecchiamento in Italia ad impegnarsi nel Programma di Ricerca Age-It (Ageing Well in an Ageing Society), finanziato dal PNRR, che mira a rendere il Paese un punto di riferimento scientifico in grado di proporre soluzioni anche per altre società che stanno rapidamente invecchiando. Sono i temi trattati dal talk ‘Think Demography, Think Positive! Una lettura positiva dell’invecchiamento della popolazione’, svoltosi nella mattinata del terzo giorno di StatisticAll, il festival della statistica e della demografia.
Il primo a prendere la parola è stato Marco Marsili, Responsabile del servizio Registro della popolazione, statistiche demografiche e del censimento della popolazione dell’Istat. La visione positiva della demografia deriva da una scelta di campo. Né con i pessimisti né con gli ottimisti: “L’Istat è sempre stata sullo stay pragmatic, prendiamo atto di come stanno le cose”, premette Marsili. La fotografia della realtà dice che “c’è una popolazione che invecchia, con uno squilibrio generazionale che si va creando anno dopo anno”. Dove sta l’ottimismo in questo? “Il fatto che una popolazione diminuisca in sé e per sé non è un fattore negativo e il fatto che la popolazione anziana aumenti è un fatto positivo”. L’Italia in questo senso “viene vista come un modello di riferimento” e ora “dovremo dimostrare di essere in grado di rispondere alle sfide che ci attendono”.
Daniele Vignoli, professore di demografia all’Università di Firenze e coordinatore del progetto Age-it finanziato dal PNRR, entra nel merito partendo da una premessa: “Sottraiamo risorse alle generazioni di domani per fare ricerca oggi e questo crea debito pubblico”. Ma in questo caso il debito “possiamo leggerlo in termini postivi”, perché “se siamo in grado di fare ricerca oggi avremo un beneficio nel lungo periodo”. Secondo Vignoli pensare in positivo “vuol dire non solo criticare il presente ma vedere le opportunità che la demografia offre”. Questo perché “siamo un paese leader mondiale nell’invecchiamento” e abbiamo delle responsabilità chiare: “Demografia positiva non vuol dire nascondere i problemi ma affrontarli apertamente, proponendo soluzioni”. Come? “Lavorando su una vita più lunga da subito, ci dobbiamo preparare a una vita più lunga, diversa, più qualitativa”.
Elisabetta Barbi, professore di Demografia alla Sapienza di Roma, affronta il tema della longevità. “Parlando di longevità non si può che essere positivi”, dice, anche se è vero che in questo campo c’è anche chi “ha un atteggiamento più preoccupato” perché il guadagno in termini di sopravvivenza oggi è inferiore a quelli registrati dalle generazioni precedenti. “L’evoluzione della speranza di vita non è mai stata lineare nel lungo periodo”, spiega, facendo riferimento a periodi di stagnazione e di successivo recupero. Secondo la professoressa Barbi, c’è un altro elemento da evidenziare. “È importante il ruolo della sopravvivenza selettiva”, perché c’è sempre un sottogruppo di persone che, per caratteristiche genetiche e per le migliori condizioni di vita, guidano l’estensione della longevità. Guardando avanti, Barbi mostra ottimismo. “Ci aspettiamo che la speranza di vita aumenterà perché diminuirà la mortalità alle età più avanzate”, in un contesto in cui “viene posticipata la mortalità a età sempre più avanzate” con “gli individui che arrivano in condizioni di salute migliori a età sempre più avanzate”.
Altro tema sul tavolo, quello delle migrazioni e della presenza degli stranieri in Italia. Ne parla Anna Paterno, professore di Demografia all’Università di Bari Aldo Moro. Lo fa partendo da una priorità, quella di “valorizzare la grande opportunità rappresentata dalla presenza straniera” in Italia. “Non è l’unica delle soluzioni ma è una delle soluzioni”, come dicono alcuni numeri significativi. La popolazione è scesa da 60 a 59 milioni e senza stranieri saremmo arrivati a 54 mln. Vuol dire che gli stranieri contribuiscono a rallentare sia l’invecchiamento sia il declino della popolazione. La domanda di fondo è: quanti stranieri sono necessari per questo? Dal 2001 il dibattito si è molto ampliato. La strada che indica Paterno è quella di “passare da una gestione dei flussi in ingresso a una gestione delle presenze”. E in questo senso è indispensabile agire sulla cittadinanza. “Un periodo temporale di dieci anni per diventare cittadini italiani è troppo lungo” e anche lo Ius scholae “è un provvedimento assolutamente necessario”, per i bambini che sono nati e sono stati scolarizzati in Italia.