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Conti deposito o BTP? Come conviene investire oggi

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Di Redazione |

Milano 23 febbraio 2023. Oggi, sono moltissimi gli italiani (e non solo) che si domandano dove e come conviene investirela propria liquidità. Meglio farsi conquistare dalle offerte dei conti deposito o affidarsi ai vecchi BTP o alle obbligazioni? La questione è molto più articolata di quanto si possa credere.

Considerati per molti anni un vero e proprio porto sicuro per i risparmi delle famiglie, i titoli di Stato come le obbligazioni, dal 2014, si sono ridotti sempre di più, tanto da arrivare a zero (o sotto zero, come nel caso dei titoli tedeschi e svizzeri) nel 2021.

BTP e conti deposito, torna l’interesse

Negli ultimi tempi i rendimenti obbligazionari hanno ricominciato a crescere. Nel corso del 2021 e del 2022, spinte anche dall’inflazione, le banche centrali di tutto il mondo, a cominciare dalla Fed statunitense, hanno iniziato ad incrementare i tassi d’interesse. Il motivo? Contrastare, appunto, l’inflazione che è arrivata a toccare, se non addirittura a superare, il 10% su base annua.

Dal momento che su BTP e conti di deposito i rendimenti subiscono l’impatto diretto dei tassi, potrebbe essere giunto il momento di tornare a rivedere le scelte effettuate in passato riguardo agli investimenti a breve termine. È bene precisare però che, quella che dovrebbe essere considerata subito dopo il contante non deve essere confusa con la parte di investimenti vera e propria.

Le offerte sui conti deposito crescono a dismisura

Si tratta di offerte apparentemente seducenti, di rendimenti fino al 4% annuo (maggiore è il tempo del deposito, maggiore sarà anche l’investimento promesso) per quanti desiderano avere un ritorno dai propri risparmi senza troppi pensieri né fronzoli.

Sono dunque tornati ad essere un affare i conti deposito? La risposta, in ogni caso, è più no che sì. Per comprenderlo, è sufficiente mettere a confronto i rendimenti netti offerti dai titoli di Stato italiani più popolari a tasso fisso (BOT per le scadenze a brevissimo termine, BTP per quelli a medio e lungo termine).

BTP, la tassazione in Italia non morde

Quando abbiamo a che fare con i BTP, si parla anche di rendimenti netti, poiché per i contribuenti individuali gli interessi sui titoli di Stato sono tassati al 12,5%. Un’aliquota più agevolata rispetto a quella prevista per gli altri titoli emessi sui mercati finanziari, che è più del doppio: 26% (anche per i rendimenti dei conti correnti e dei conti deposito). Si tratta, dunque, di un vantaggio non indifferente, peculiare dei titoli governativi italiani.

Il nostro Paese, in rapporto alla propria potenza economica, registra uno dei debiti pubblici più alti al mondo. E spingere a farsi prestare denaro è un’arma che si gioca ormai da anni. Per la verità, non è l’unico Paese a farlo, poiché sono molti quelli che utilizzano tale strategia. C’è infatti chi usa il “doping fiscale” molto più di noi. Ad esempio, cittadini croati, greci, bulgari, irlandesi e lettoni beneficiano dell’esenzione totale sulle plusvalenze ottenute dall’investimento in titoli governativi. Al contrario, in Danimarca, è prevista un’aliquota del 42,5% sulle plusvalenze e sui titoli di Stato.

BTP e conti deposito: un confronto sui rendimenti

È essenziale ricordare, infatti, che i tassi pubblicizzati sui conti deposito prevedono una tassazione del 26% (contro il 12,5%) dei titoli di Stato. Entrambe le forme di impiego scontano l’imposta di bollo dello 0,2%. In questo caso non vi è un vero e proprio vincitore, fatta eccezione nel caso in cui la banca la rimborsi completamente (oggi fatto piuttosto raro).

Vi sono poi ulteriori situazioni. Alcune offerte sui conti deposito prevedono l’opportunità di svincolare con anticipo. In quel caso, però, non verrà pagato nemmeno un centesimo di interessi. Esistono anche altre condizioni “più furbe” che alcune banche e reti mettono in atto per attirare la clientela meno esperta. Possono offrire, ad esempio, un tasso elevato sulla giacenza della liquidità (ma per un periodo limitato) e/o condizionare tale offerta alla sottoscrizione di ulteriori fondi di investimento.

Nel caso dei titoli di Stato, invece, se servono dei soldi prima della scadenza, è possibile liquidarli sul mercato. Più semplicemente, possono essere rivenduti ad un prezzo inferiore a quello dell’acquisto. Si tratta comunque di una exit strategy esistente, che vale la pena ricordare nel confronto.

Per ciò che riguarda il rischio di tenere dei soldi su un conto deposito di una banca italiana rispetto a possedere dei titoli di Stato italiani, l’ago della bilancia pende a favore dello Stato sovrano (in passato abbiamo visto banche locali che offrivano conti ad alto rendimento essere “risolte”). A ciò, inoltre, si unisce il fatto che su un conto deposito o corrente la garanzia sui depositi non è illimitata. Il Fidt (Fondo Interbancario di Tutela) garantisce una copertura fino a 100.000 euro per correntista.

È bene ricordare, poi, che i titoli di Stato approfittano di ulteriori vantaggi. Per legge, infatti, non rilevano ai fini dell’imposta di successione. Sono completamente esenti (a differenza delle obbligazioni).

I conti deposito, infine, non vanno certo demonizzati. Possono infatti risultare utili in caso di specifiche esigenze, come per una gestione minima della tesoreria. Ciò che conta è valutare la solidità dell’Istituto proponente e l’adesione al Fidt. Ma non sono l’unica e spesso la migliore soluzione (soprattutto di questi tempi) alla gestione della liquidità.

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