Roma, 30 ott. “La vita ti riserva delle opportunità alle quali bisogna credere, non bisogna avere paura di essere ambiziosi, senza eccedere, però dentro di te devi sapere sempre di essere migliore, devi pensare che prima o poi si accorgeranno di te e la vita cambierà. Le cose diventano possibili, magari non tutte. Sono caduto da cavallo e sono molti di più i film andati male che ho fatto nella mia vita di quelli che sono andati bene, tuttavia sono sempre risalito a cavallo e c’era sempre qualcuno pronto a credere in me. Il mondo è fatto di persone accoglienti, non solo di persone che sono qua per farti del male. L’importante è che tu abbia una tua identità. Le persone migliori sono le più vulnerabili, le più timide. La fragilità, la vulnerabilità sono le qualità principali dell’essere umano”. A parlare è Pupi Avati, regista e scrittore, oggi in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Italianistica presso l’Università degli Studi Roma Tre, dove ha tenuto la sua lectio magistralis dal titolo “Dante”. “I miei interessi medievali – ha poi raccontato il regista – nascono dalla mia cultura contadina, sono nato nel 1938 e siamo stati sfollati da bambini in campagna, quindi l’imprinting è quello della cultura contadina che è il più vicino possibile al Medioevo. Il mondo è infinitamente cambiato. È stato tutto un mutamento, una velocizzazione, ma a quella cultura contadina nella quale sono cresciuto non voglio rinunciarvi, perché sono le mie radici”. E ancora: “Del presente mi piacciono le persone, mi piacete voi”, ha detto rivolto agli studenti. “Ho insegnato per molti anni nelle scuole di recitazione e sui set frequento molti giovani, quindi ho una comparazione con i giovani di oggi rispetto a quei giovani ingenui, un po’ coglioni, che siamo stati noi, e vedo che c’è una differenza pazzesca perché quelli di oggi trovano una rassicurazione nell’omologazione, nell’essere più uguali possibile e già questo fa sì che tu un’avventura in solitario difficilmente la farai, eppure chi va da solo va più lontano. E’ vero. Noi, della nostra generazione, eravamo molto ingenui e quindi capaci di aspettarci della vita molto. E in certi casi la vita ci ha dato molto, perché abbiamo osato pensare che potesse essere, sognare, delle cose grandi.” “Quando ho deciso di fare il cinema non avrei mai immaginato che ne avrei fatti 54 e non mi sono fermato ancora, perché la creatività è come un nervo che più lo stimoli e più produce. Sicuramente me ne andrò con un sacco di storie che non sono riuscito a raccontare. Mi piacerebbe raccontare il personaggio di Giovanni Pascoli, la poetica pascoliana mi è assolutamente molto vicina. Un altro personaggio che andrebbe raccontato, per le sue contraddizioni, per dei suoi aspetti inquietanti, è Manzoni, e poi la saga dei Rizzoli, una bellissima storia, molto italiana, dove c’entra la politica, il potere, l’amore, il sesso.