Politica
Musumeci e Toti, ovvero due uomini e una gamba (la 2ª di centrodestra)
CATANIA – Due uomini e una gamba (la seconda, del centrodestra) è un film già visto, ma con un finale ancora tutto da scrivere.
Giovedì scorso l’incontro romano fra Nello Musumeci e Giovanni Toti ha dato uno scossone all’intorpidito centrodestra a trazione salviniana.
Dice il governatore della Liguria: «Serve una seconda gamba che consenta alla Lega di emanciparsi dall’abbraccio dei 5 stelle in prospettiva».
Dice il governatore siciliano: «Vogliamo rinvigorire la coalizione, senza contrapposizioni a Salvini, creare un’alternativa a questo governo recuperando la Lega al centrodestra».
Segue, pochi attimi dopo i primi lanci di agenzia di Toti e Musumeci, l’entusiastico “cappello” di Giorgia Meloni. Che parla di «un altro importante passo avanti nella costruzione di quella “seconda gamba” del centrodestra lanciata lo scorso settembre ad Atreju». E si dice «sinceramente felice» che i due «ribadiscano la loro volontà di lavorare al progetto di riportare il centrodestra al governo liberando Salvini dalla morsa del M5S».
Tutto è bene ciò che finisce bene?
Meglio leggere fra le righe.
Sostiene Toti: «Io e Musumeci siamo due governatori con autonomia di pensiero e capacità di unire dal basso, si tratta di fare un lavoro faticoso ma non abbiamo fretta».
Sostiene Musumeci: «Con il collega Toti, ci siamo, per partire, appunto, dal territorio e arrivare a un grande progetto. Se altri vorranno starci e chiedere un nostro contributo, ci saremo subito dopo le Europee»».
Ma allora cosa sta succedendo davvero nel centrodestra “alternativo” a Forza Italia tanto quanto (ma non troppo) alla Lega?
L’uscita di Musumeci e Toti ha una sua ratio: visto che fra l’egemonia della Lega e l’annunciato tracollo di Forza Italia c’è una terza via (che aspira a diventare la seconda) puntiamo a occupare questo spazio. L’altro postulato, sempre a rigor di logica, è che, essendoci già un’offerta politica di questo tipo – il partito conservatore e autonomista di Meloni – i due governatori potrebbero sin da subito entrarci da protagonisti. Il che, ad esempio, in Sicilia coinciderebbe con il lavoro portato avanti in silenzio da mesi da Raffaele Stancanelli, socio fondatore e coordinatore uscente di DiventeràBellissima, ma anche senatore di FdI. Non a caso, dopo le esternazioni congiunte dei due governatori, a Stancanelli sono arrivate centinaia di testimonianze, fra telefonate e sms, di congratulazioni. «Raffaele, finalmente ha prevalso la tua linea», esulta chi – dentro DiventeràBellissima – sostiene la linea di adesione al progetto meloniano. Una strada già percorsa dagli Autonomisti, che metteranno in lista uno (o più) candidati per Bruxelles.
Ma non è detto che sia così. O forse è proprio il contrario. Perché, quando ancora manca un mese al congresso in cui DiventeràBellissima dovrà scegliere anche cosa fare per le Europee, l’opzione più probabile – quasi del tutto tramontata l’idea di un’alleanza tecnica con la Lega fino a poco tempo fa molto gradita a un musumeciano di peso come Ruggero Razza – sembra quella di «saltare un giro». Restare alla finestra per il voto del 26 maggio, senza appoggiare la “gamba” di Meloni. Aspettando magari, sussurrano i più maliziosi, che la leader di FdI se la spezzi, quella gamba. Non raggiungendo il quorum del 4% che invece i suoi ritengono a portata di mano. Una tattica attendista, quella di Musumeci e Toti, per poi prendersi la golden share di alleati di ferro della Lega in una coalizione deberlusconizzato.
L’operazione può avere un senso. Ed è a costo zero. Almeno a breve termine. Ma per il governatore siciliano presenta un paio di rischi. Uno siciliano: quale prezzo politico pagherà un movimento, che fonda la sua forza nella leadership del presidente (soprattutto quando è lui candidato in prima persona) lasciando le proprie pecorelle libere di scorrazzare verso altre greggi? L’altro rischio è di scenario nazionale: se Meloni, anziché fare flop, dovesse sfondare, o quanto meno superare il quorum, senza il sostegno di DiventeràBellissima, la porta per Musumeci (con il quale oggi i rapporti personali non sono idilliaci) subito dopo sarebbe tutt’altro che aperta. Il concetto lo spiega bene Raffaele Fitto, alleato di ferro di Giorgia, parlando dell’altro governatore: «Bel progetto, sono d’accordo, ma quando e come vuole farlo? Perché Toti vuole condividere questo progetto dopo le europee? Basta un po’ di coraggio!».
Il piano anti-Meloni, dunque, è tutt’altro che segreto. Non a caso Stancanelli, che al congresso dei musumeciani il prossimo 24 febbraio rilancerà (forse per l’ultima volta) le ragioni dell’adesione a FdI versione 2.0, continua comunque il suo lavoro assieme ai meloniani di Sicilia. Oggi, a Catania, in un incontro si farà il punto sulla lista per le Europee. «C’è molto interesse e ci sono tanti aspiranti: sceglieremo i migliori», è l’ottimismo che trapela. Con smentita, piuttosto secca, di un corteggiamento a una candidata di grido: Francesca Catalano, stimato medico catanese, appena eletta all’Ordine, già spin doctor del programma di Musumeci per la sanità, oltre che moglie del rettore Francesco Basile. Non se ne dovrebbe fare nulla e allora resta il mistero sul «nome forte della società civile» sussurrato dallo stesso Stancanelli. Per il resto sono in pista, per FdI, l’assessore regionale al Turismo Sandro Pappalardo e il consigliere comunale Francesco Paolo Scarpinato. Nella quota rosa la deputata palermitana Carolina Varchi, ma anche una messinese. Per la componente lombardiana c’è da sciogliere il nodo fra Carmelo Pullara (deputato regionale gradito a Roberto Di Mauro) e l’europarlamentare uscente Innocenzo Leontini, eletto con Forza Italia, ma ora passato nel gruppo dei conservatori a Bruxelles. C’è spazio per tutt’e due? Forse sì, ma bisogna fare i conti anche con un altro uscente, il sardo Stefano Maullu, ex forzista. Ma i giochi sembrano quasi fatti. A prescindere dal vaticinio di Musumeci?
Twitter: @MarioBarresi
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