Politica
L’ammazza-grillini sul water del turpiloquio e il “badante” col pizzetto risorgimentale
«Vieni qui, mio caro amico geometra, che ti spiego l’arte di Stomer. Van Dick lo conosci?».La più beffarda delle némesi arriva a Palazzo dei Normanni. Ieri, nel giorno dell’addio annunciato. Vittorio Sgarbi con Giancarlo Cancelleri. Il critico d’arte (che vorrebbe «sputare in faccia» ai grillini) esce a braccetto con il leader siciliano del M5S, che ha chiesto la testa del quasi-ex assessore ai Beni culturali. Accanto, a osservarli con un sorriso complice, Patrizia Monterosso, padrona di casa alla Fondazione Federico II, braccio culturale dell’Ars. «Gianfranco Miccichè ha il merito di avere valorizzato il miglior dirigente che rischiava di essere emarginata», sono le referenze, perfide quanto sincere, firmate da Sgarbi per l’ex sacerdotessa di Palazzo d’Orléans cacciata da Nello Musumeci, ma destinataria di analoga fatwa del candidato pentastellato in caso di vittoria alle Regionali.
Sgarbi, ça va sans dire, solidale con Monterosso. E persino cordiale con Cancelleri. Che, imbarazzato, ricambia con fare istituzionale. E, in cuor suo, gode. Appena un po’. Ma gode.
Scene – grottescamente almodovariane; veristicamente verghiane – immortalate ieri a Palermo. I tre sullo stesso palchetto, davanti alle centinaia di persone radunate nel cortile dell’Ars (Cancelleri è lì da vicepresidente in rappresentanza di Miccichè) nella Sala Duca di Montalto per l’inaugurazione della mostra “Sicilië, pittura fiamminga”.
Il triangolo no, non l’avevamo considerato.Ma a pensarci bene è un quadrilatero. Che si completa con il convitato di pietra. Musumeci. Seduto sui banchi di Sala d’Ercole, impassibile quando l’assessore (ancora per poco?) in carica va ad accomodarsi – faccia di cuoio degna di Thomas Hewitt – accanto ai membri gelidi del governo. Nessun saluto. Silenzi. Soltanto qualche sguardo. Torvo.
E no. Non è così. Né triangolo, né quadrilatero. Ma due linee parallele che non si sono incontrate. Mai.In fondo, questa è soltanto la storia di un rapporto nato morto. Fra l’assessore “mangia-capre” che fa delle contumelie lanciate dalla tazza del cesso la sua «linea politica» e il governatore “fascista galantuomo” che, accarezzandosi il pizzetto risorgimentale, affronta la mostruosità dei problemi dell’Isola con ostentata sobrietà.
Tutto comincia nell’ultima estate calda della Sicilia ancora crocettizzata. Mentre Musumeci, già in campo da mesi, gioca di fioretto per assurgere a candidato unico del centrodestra, irrompe Sgarbi col bazooka. «Chi vince le elezioni in Sicilia? Mi candido io, quindi vincerò io», esterna il 1º settembre 2017. E poi, 11 giorni dopo, “ufficializza” la discesa in campo con la sua lista “Rinascimento” (dal nome del libro scritto con Giulio Tremonti) gemellato col Mir del redivivo Gianpiero Samorì. «La politica è erotica. Dovendo decidere con chi andare al letto, con me o Musumeci, scegliereste me», il proclama del critico-candidato al popolo siciliano. Alleanze? «Se dovessi farne, le farei con i 5stelle», ammicca.
Ma il suo piano è chiaro: alzare il prezzo con la coalizione. E gli riesce in pieno, anche perché interviene Silvio Berlusconi di pirsona pirsonalmente. E Musumeci, il 27 settembre, deve rompere il ghiaccio: «Sgarbi prosegua la sua battaglia accanto a me, faccia un atto di servizio a favore dell’isola che lui tanto conosce e ama». Risposta a stretto giro d’agenzia: «Sono disponibile a una collaborazione attiva e politica con il suo progetto di governo della bellezza, in un rapporto diretto e fiduciario». Il giorno dopo la foto che immortala i due, sorridenti in maniche di camicia, a suggellare il patto. «È una risorsa straordinaria», cinguetta Nello. E Vittorio esulta: «Sarò l’assessore alla Cultura».
E così sia. Sgarbi non fa certo una campagna elettorale pancia a terra. Giusto un paio d’insulti di capitolato ai grillini e poi gli basta esserci al momento giusto. Come per la Venuta del Cav, che lo vuole al tavolo presidenziale nella cena del patto dell’arancino a Catania. Poco prima, sul palco di Palermo, l’incoronazione da parte del leader di Forza Italia: «È il più grande critico d’arte, siamo amici e litighiamo da anni, è una persona importante per la Sicilia». Applausi. Baci, selfie e tacchi 12.
Musumeci vince le elezioni. E Sgarbi, nel valzer del toto-assessori, è l’unico nome sempre in pista. Intoccabile.Ecco la nuova giunta. Il 30 novembre la prima seduta. Manca Sgarbi. O meglio: fa una scappatella, si mette in posa per la photo opportunity e poi va via. «Dovevo prendere l’aereo, avevo un impegno. Ma nessuna polemica col presidente». Che, però, gli esibisce il primo cartellino giallo. Inviando alla stampa una foto ufficiale in versione Sgarbi free. «In quella in cui c’era lui mancava Turano, che è arrivato quando Vittorio se n’era già andato», fanno spallucce complici da Palazzo d’Orléans.
La prima richiesta di cacciare il neo-assessore ai Beni culturali arriva appena quattro giorni dopo. Lui, in tv, ha attaccato il pm Nino Di Matteo: «Ha fatto carriera grazie alle minacce di morte ricevute da Totò Riina». E i cinquestelle incalzano Musumeci: «Dica se sta con la mafia o con l’antimafia». Il governatore chiarisce: «Il professore è libero di esprimere qualsiasi giudizio, nella stessa misura in cui rivendico la mia libertà di non condividerne, nella fattispecie, le forme e il contenuto». Segue invito a «maggiore sobrietà nel ruolo pubblico». Sgarbi sembra arrendersi: «In Sicilia non si può parlare di presente, mi rifugio nella Storia…».
Il 2017 non è ancora finito. E si parla già di elezioni politiche. «Mi piace fare l’assessore, ma non so se resto», confessa il critico pregustando già la poltrona di ministro. Musumeci, innervosito ma quasi sollevato, tace. Giusto il tempo di incassare qualche altro show del critico. Che difende il sodale Miccichè sotto scopa per gli stipendi d’oro cabriolet all’Ars: «Picasso non può essere valutato come il quadro di un pittore di carretti siciliani. Però vedo tante polemiche, ma nessuno si scandalizza per i membri della Consulta, che prendono 490mila euro l’anno per non fare un c…». Poi, dopo aver discettato di «pm eversivi», invita all’Ars il generale dell’Arma Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno (imputati nel processo sulla trattativa Stato-mafia, definiti «due eroi» dall’organizzatore) per la presentazione di un docufilm nella sala intitolata a Piersanti Mattarella. Evento entrato negli annali del giornalismo parlamentare siciliano anche per la presenza di sue stangone russe, gradite ospiti dell’assessore, le quali non fanno nulla per nascondere la loro irrequietezza sessuale.
Musumeci tace. Incassa. E fa il conto alla rovescia dei giorni che mancano al 4 marzo.Vincono la Lega al Nord e i Cinquestelle al Sud. Lettura di Sgarbi: «Quelli del M5S sono voti di protesta di una parte d’Italia non produttiva che aspetta il reddito di cittadinanza». E a quel punto il presidente, appena stuzzicato dai cronisti, sbotta: «Con il mio assessore ai Beni culturali parlo della Valle dei templi o dell’arte sacra. Io non sono la badante di Sgarbi».
Il giocattolo s’è rotto. Sgarbi, ormai certo di non fare più il ministro, nicchia sull’addio alla giunta regionale. E nel frattempo, giusto per non perdere le sane abitudini, sfotte i grillini. «Avete problemi a cagare? Prendete Di Maio, non Guttalax…». I deputati regionali del M5S, il 13 marzo, formalizzano la mozione di censura all’assessore che «col suo inqualificabile comportamento ha leso il decoro della Sicilia e dei siciliani». Reazione dell’interessato: «La smettano di chiedere la mia testa al presidente. Sono felice di averli disturbati, che siano maledetti…». Qualche ora dopo, in serata, Musumeci posta sui social la foto di tutti gli assessori in “ritiro spirituale” con lui sulle Madonie. Unico assente: quello ai Beni culturali.
Vittorio ormai sa che è finita. E il 19 marzo ammette: «Musumeci non vede l’ora che io me ne vada. Non sarò più assessore. Hanno deciso loro che me ne devo andare, non ho scelto io». Sibilando «un piccolo ricatto» al presidente: «Il 27 arriva un mecenate che porterà 39 milioni per Selinunte. Non li dà a me, ma deve trattare con me. Con chi tratterà se me ne vado? Fossi Musumeci aspetterei…». Ma lui, più pizzuto del proprio pizzetto, non aspetta. Né, stavolta, tace. «Penso a un tecnico, al di sopra delle parti, che darà impulso, con una presenza maggiore, all’assessorato», è la descrizione del successore. Tratteggiata in tv dopo aver chiamato Arcore: «La situazione è insostenibile», vomita a Berlusconi, sempre con rispetto parlando, il governatore. Il quale, ormai, non risponde più agli sms dell’assessore, noto esperto di Punto G., ora aspirante ricostruttore del Tempio G. «Un maleducato», sarà la predica dal pulpito del turpiloquente mentre mostra il display del cellulare ai giornalisti. Il bue, l’asino, la cornutaggine. Un contrappasso vecchio come il cucco.
Scorrono i titoli di coda. «Sgarbi lascia, il nuovo assessore sarà nominato entro Pasqua» è lo scalpo esibito da Cancelleri dopo la conferenza dei capigruppo di lunedì scorso. Un reciproco (e inconsapevole?) scambio di favori: i grillini si vendicano del water-gate (water sta per gabinetto) contro Di Maio, mentre Musumeci disinnesca una mozione perigliosa nella trincea di un’Ars oggi più che mai ostile. Anche perché, confessava un vecchio masnadiere di Sala d’Ercole, «la censura l’avremmo votata anche molti di noi della maggioranza». Che, nel frattempo, è diventata minoranza.
Nello tace. Vittorio no. Il governatore è «un dipendente dei cinquestelle» e ha «fatto perdere le Politiche al centrodestra in Sicilia», l’affondo di ieri annunciando le dimissioni. Con la più nobile delle ragioni politiche: «S’è rotto il rapporto di fiducia fra me e lui».
Musumeci, già da tempo, s’era rotto ben altro. Sobriamente, s’intende.
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