Cronaca
UniCt, quei concorsi senza speranza: gli onesti erano «stronzi da schiacciare»
CATANIA – Potrebbe essere un pozzo senza fondo l’inchiesta “Università Bandita” della procura di Catania che questa mattina ha scoperchiato il sistema familistico messo in piedi dai vertici dell’Ateneo catanese per collocare a piacimento amici e parenti. Lo si evince dai numeri dell’inchiesta. Sessantasei gli indagati, 40 professori dell’Università di Catania e 20 ddi altri 14 atenei sparsi in tutta Italia. Indagate anche altre sei persone a vario titolo collegate con l’Università di Catania. Ventisette i concorsi che secondo la Procura sono stati certamente truccati ma si stanno svolgendo indagini su altre «97 procedure concorsuali sulle quali – secondo gli inquirenti – sussistono fondati elementi di reità circa la loro alterazione». In tutto quindi quasi 130 concorsi che sarebbero stati truccati per far vincere non chi meritava ma il prescelto della casta, il raccomandato.
Fatti gravi, gravissimi. Per questo la Procura etnea aveva chiesto gli arresti domiciliari per il rettore e nove professori, ma il gip ha disposto il provvedimento cautelare della sospensione dall’attività professionale. Eppure dalle indagini emerge un quadro criminale consolidato, emergono metodi mafioso nelle intimidazioni ma anche nel modus operandi: i professori universitari si scambiano “pizzini” esattamente come i boss.
«Si è usata la parola, da parte di qualcuno, non da parte mia, di “metodi paramafiosi”. Parto dal principio che se tutto è mafia, nulla è mafia. Io uso la parola mafia per sistemi effettivamente mafiosi. Però questi sono sistemi criminali ed anche i sistemi criminali organizzati non mafiosi posso produrre effetti devastanti» ha detto il procuratore della Repubblica di Catania Carmelo Zuccaro durante la conferenza stampa sull’operazione “Università bandita”.
«I fatti – ha spiegato – sono estremamente gravi e certamente non fanno onore a persone che dovrebbero appartenere al mondo della cultura, cultura che non può soffrire l’adozione di sistemi clientelari e non basati sul merito per potersi perpetuare».
La parole di Zuccaro suonano come un macigno per l’Università di Catania: «Una cultura che si basa su questi sistemi è una cultura destinata a rimanere sterile e a perseguire più esigenze clientelari che non esigenze di progresso e di sviluppo della nostra società».
L’associazione a delinquere
E’ triste scoprire che una istituzione come l’Università era “cosa loro”, ma così era. E i promotori di questa “associazione a delinquere” erano addirittura il rettore e l’ex rettore. Il pesce puzza dalla testa, si suol dire. Il capo era il rettore dell’Università di Catania Francesco Basile e il suo complice era il suo predecessore Giacomo Pignataro: l’obiettivo era commettere un numero indeterminato di reati per controllare in toto l’Ateneo, alterando il naturale esito dei bandi di concorso per il conferimento degli assegni, delle borse e dei dottorati di ricerca, per l’assunzione del personale tecnico-amministrativo, per la composizione degli organi statutari dell’Ateneo (Consiglio d’Amministrazione, Nucleo di Valutazione, Collegio di Disciplina), per l’assunzione e la progressione in carriera dei docenti universitari.
Anche il consiglio di amministrazione sarebbe stato deciso a tavolino da Giacomo Pignataro e Francesco Basile, che avrebbero stabilito anticipatamente chi doveva farne parte e avrebbero materialmente consegnato “pizzini” a Giuseppe Sessa e Filippo Drago, che li avrebbero distribuiti a tutti i componenti del Senato accademico. Il metodo “paramafioso” dei “pizzini” non era usato solo con i docenti ma anche con il personale tecnico-amministrativo ed anche ai rappresentanti degli studenti. «C’è stata una maggioranza bulgara sulla volontà del rettore» dice in una intercettazione uno degli indagati parlando dell’esito della votazione per l’elezione dei componenti del consiglio di amministrazione.
Oltre a Basile e Pignataro, fra gli indagati figurano professori di primo piano dell’Ateneo come il prorettore Giancarlo Magnano di San Lio; l’ex direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali Giuseppe Barone; il direttore del Dipartimento di Economia e Impresa Michela Maria Bernadetta Cavallaro; il direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche Filippo Drago; il direttore del Dipartimento di Matematica e Informatica Giovanni Gallo; il direttore del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali Carmelo Giovanni Monaco; il direttore del Dipartimento di Giurisprudenza Roberto Pennisi; il presidente del coordinamento della Facoltà di Medicina Giuseppe Sessa.
I concorsi su misura
E per la “cricca” controllare i concorsi era un gioco da ragazzi. Era stato messo su persino «un codice di comportamento sommerso operante in ambito universitario secondo il quale gli esiti dei concorsi devono essere predeterminati dai docenti interessati». Secondo quanto accertato, le regole del codice avevano un un preciso apparato sanzionatorio e le violazioni erano punite con ritardi nella progressione in carriera o esclusioni da ogni valutazione oggettiva del proprio curriculum scientifico.
Fra quelli analizzati, gli investigatori non sono riusciti a trovare un solo concorso svolto con criteri meritocratici. L’unica volta in cui il soggetto più meritevole stava vincendo un concorso, la commissione sarebbe stata “richiamata all’ordine” dal rettore, che avrebbe imposto invece una modifica del concorso per far vincere chi era stato precedentemente designato.
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Ma è stato un caso unico, perché gli errori non erano ammessi. Ogni cosa era pianificata. Tutti i concorsi erano prima, sulla base del vincitore. Il bando sarebbe stato costruito ad hoc attorno al vincitore, le pubblicazioni sarebbero stata stabilite in base a quelle che lui aveva e l’ordine di chiamata sarebbe stato deciso in base alla possibilità di avere una persona invece che un’altra. Si sarebbero inoltre creati finti eventi culturali per poter pagare le trasferte ai commissari.
Il precedente
A far venir fuori il marcio all’università di Catania sarebbe stata una querelle che c’era stata in precedenza tra un professore e l’ex rettore Pignataro e che riguardava una procedura amministrativa, ma il «sistema» dei concorsi truccati era già stato esplorato in una vicenda giudiziaria scaturita da un concorso per ricercatore in Storia contemporanea nella sede distaccata di Ragusa. La commissione aveva in quella occasione scelto come vincitrice una candidata laureata in architettura. Il candidato escluso, Giambattista Sciré, autore tra l’altro di vari saggi e ricerche, aveva presentato ricorso al Tar e denuncia alla magistratura ordinaria. Sia il Tar che il Consiglio di giustizia amministrativa avevano giudicato illegittima la decisione dei commissari che in sede penale sono stati il 17 aprile scorso condannati dal tribunale: un anno di reclusione ciascuno con la condizionale per il presidente Simone Neri Serneri, la segretaria Alessandra Staderini, il commissario Luigi Masella. A Sciré è stata riconosciuta una provvisionale di 10 mila euro.
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Il processo ha preso in esame solo il caso Sciré e il comportamento della commissione ma ha messo in luce i metodi di un sistema» nel quale la selezione dei candidati si fondava, si legge nelle sentenze, anche su «affermazioni illogiche» e perfino su valutazioni «contrarie al buon senso». Mentre la Corte dei conti ha aperto un fascicolo ipotizzando un danno erariale, il Tar ha condannato l’Università di Catania al risarcimento dei danni al candidato escluso che però non ha mai ottenuto, se non per alcuni mesi, l’immissione nel posto di ricercatore.
Gli altri atenei
Gli investigatori hanno sottolineato come il sistema non sia ristretto all’Università etnea ma si estende ad altri atenei italiani – non è stato reso noto quali se non per grandi linee – i cui docenti, nel momento in cui sono stati selezionati per fare parte delle commissioni esaminatrici, si sono sempre preoccupati di “non interferire” sulla scelta del futuro vincitore compiuta preventivamente favorendo il candidato interno che risultava prevalere anche nei casi in cui non fosse meritevole. Tra i 40 indagati vi sono anche coloro che hanno vinto i concorsi. Diciassette dei concorsi che sarebbero stati truccati sono per professore ordinario, quattro per professore associato, sei per ricercatore. Nel provvedimento sono iscritti complessivamente 40 professori delle Università di Bologna, Cagliari, Catania, Catanzaro, Chieti-Pescara, Firenze, Messina, Milano, Napoli, Padova, Roma, Trieste, Venezia e Verona.
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