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Da Capuana a Rotella, i segreti del “gruppo di Lavina” fra santoni e santini (elettorali)

Di Mario Barresi |

ACI BONACCORSI – Il risveglio è un pugno nello stomaco. E una ferita nell’anima, di quelle difficili da far rimarginare. Il chiacchiericcio assurge a cronaca (nera), il pettegolezzo riposto con distratto fastidio in un armadio diventa un rimorso di coscienza. «Ma dove siamo stati in tutti questi anni?».

La domanda rimbalza fra centinaia di persone – tutte perbene – che non riescono a darsi pace. Circa cinquemila, di tutto il Catanese, i frequentatori della “Associazione cattolica cultura e ambiente” con sede ad Aci Bonaccorsi in via Roma 51. Ovvero in quella che era la casa di don Stefano Cavalli, 97 anni, parroco della chiesa di Lavina, frazione di Aci Bonaccorsi. Il sacerdote, morto a 97 anni nell’ottobre del 2015, fu il primo parroco e rettore del Santuario di Maria Ss. Ritornata. Qui tutti lo ricordano, «padre Cavalli».

 

Anche perché era un famoso esorcista: «Nel 1993 – raccontano – mentre stava praticando un esorcismo collettivo a 15 persone di una famiglia cadde e si ferì a causa della reazione violenta di alcuni degli invasati».

In principio fu il “gruppo di Lavina”. Meno di una decina di persone, che nel 1973 – all’epoca del boom dei cosiddetti gruppi carismatici – fondarono il piccolo nucleo. Che si riuniva una volta a settimana e poi si rivedeva la domenica per la messa. Apostolato in ospedali e ospizi e catechesi con i sacerdoti inviati dai vescovi. «C’è la fede alla base della nostra attività – spiega un frequentatore di Lavina – ma l’associazione è laica». Tant’è che risulta registrata con codice Ateco 01.24: “Coltivazione di pomacee e frutta a nocciolo”.

L’interno dei locali del cenacolo di Maria SS Ritornata 

«Il nostro modello non è Rinnovamento dello Spirito», precisano. Anche se negli ultimi tempi, nell’associazione oggi presieduta da Massimo Bassi (stimato ingegnere catanese, ovviamente estraneo all’indagine) c’era un dibattito sull’idea di trasformare il cenacolo in un gruppo ecclesiale. Dentro cui c’è di tutto: magistrati, professionisti, avvocati; ma anche operai, casalinghe e disoccupati.

Tutto ciò fino a ieri. Fino a questa storia di santoni e di porcherie. Presunte, ancorché ben documentate dalla Polizia postale.Ma c’è anche un capitolo che riguarda i santini (elettorali) e la forza politica di un gruppo che i frequentatori definiscono «compatto, ma aperto». Legato a due protagonisti della politica regionale e catanese, negli ultimi anni lontani dai riflettori: Mimmo Rotella e Daniele Capuana, il primo indagato per favoreggiamento nell’inchiesta della Procura di Catania, il secondo totalmente estraneo alle indagini. Capuana è il figlio di Pietro Alfio, il leader arrestato per gli abusi sulle minorenni; Rotella è il marito di Rosaria Giuffrida, una delle tre collaboratrici finite ai domiciliari. 

La giustizia penale farà il suo corso. Ma qui dentro c’è anche un’altra parabola da raccontare. «Quelli lì sono una macchina di voti», è il refrain che risuona nell’Acese. Il primo politico a essere considerato vicino al gruppo fu Angelo Rosano, due volte deputato regionale a cavallo fra gli anni 70 e gli ‘80. Altri tempi. Ben prima della svolta che arriva a metà dei ‘90. La comunità cresce, anche per la sincera fideizzazione di centinaia di devoti a Padre Pio. E nel frattempo cresce pure Rotella, ragioniere assunto alle Ferrovie dello Stato. Dalla Dc a Lamberto Dini, passando – attraverso il suo movimento Nuova Sicilia – dal centrodestra a Raffale Lombardo, Rotella fa due volte il botto alle Regionali. Eletto nel 1996, fu assessore al Turismo nei governi di Angelo Capodicasa e di Vincenzo Leanza. Poi fu rieletto a Sala d’Ercole nel 2001, nella Cdl a sostegno di Totò Cuffaro. Ma sotto il Vulcano lo ricordano anche per le sue esperienze di assessore provinciale (con Giuseppe Castiglione) e comunale (con Umberto Scapagnini).

«Nell’associazione – racconta uno dei frequentatori – ci sono state due “ramificazioni”. Una culturale, con organizzazione di eventi e vendita di libri utile anche per sostenere le spese di un gruppo. E l’altra politica, caratterizzata dalla leadership dell’onorevole Rotella». Incontri, riunioni, ma soprattutto la condivisione di ideali. «Mimmo è sempre stato uno di noi. E quando chiedeva il voto era difficile dirgli di no, anche perché nella sua attività ha sempre dimostrato di dare delle risposta alle nostre istanze».

Intanto decolla anche il discepolo Capuana. Golden boy della politica etnea e per alcuni anni delfino di Rotella. Giovanissimo vicepresidente del consiglio comunale di Catania nel 1997 (con Rinnovamento Italiano), rieletto nel 2000 con la lista Dini. La sua notorietà è al top nel 2003, quando diventa assessore provinciale allo Sport (in quota Nuova Sicilia, creatura rotelliana) di Lombardo, lasciando voti e seggio di Palazzo degli Elefanti al fratello Salvo.

 

Capuana sfiora due volte pure l’elezione all’Ars: nel 2006 con l’Mpa e nel 2012 con il Pd. Cinque anni fa Rotella non è più suo sodale, ma avversario: Mimmo si candida con Cantiere Popolare; il seggio etneo lo prende Valeria Sudano. Nel frattempo, sin dal 2010, Capuana fa carriera nei dem: fonda Scelta giovane, un movimento che poi si avvicina ai LiberalPd del sindaco Enzo Bianco. Fino al 2014, quando – candidato sindaco a Motta S. Anastasia, – viene sconfitto ed esce dal Pd sbattendo la porta. «Un partito totalmente assente, atto solo a sfruttare il mio bacino elettorale», dice anche con malcelato odio nei confronti dello storico nemico Luca Sammartino.

E poi nulla più. Oblio politico. O quasi. Fino agli arresti di ieri, che toccano Rotella e Capuana nel profondo degli affetti familiari. La politica non c’entra più, sono drammi personali che vanno rispettati.

 

Ma adesso è il gruppo di Lavina a interrogarsi. Sul «fango buttato su migliaia di frequentatori ignari», sulla definizione di «setta» ritenuta «fuorviante, perché qui dentro chi vuole entra». E su ciò che nessuno dice di non aver mai visto né sentito. «Una storia che ci mette in crisi», dicono. Ma anche «un marchio che ci resterà sempre impresso sulla pelle». Ora, sussurrano, «si deve dare un segnale».

Twitter: @MarioBarresi

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