Cronaca
Borsellino a Marsala fu lasciato solo, le accuse al Csm lanciate dal magistrato ora desecretate
ROMA – A Marsala lasciato solo: «Mi sono trovato immediatamente a dover affrontare una assoluta smobilitazione di quella procura della Repubblica». L’accusa viene da Paolo Borsellino, audito dalla Commissione parlamentare antimafia nel dicembre 1986 a Trapani, nella sua qualità di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Marsala, ufficio nel quale si era insediato da appena tre mesi.
Il magistrato – gli atti di allora sono visionabili da poche ore, grazie alla desecretazione decisa dalla Commissione antimafia – accusa senza mezzi termini il Csm: «Malgrado il Consiglio superiore avesse approvato una risoluzione circa la particolare attenzione nei confronti delle province interessate dal fenomeno mafioso, poi, nella pratica attuazione dei fatti, questa attenzione non c’è stata», al punto che le esigenze del tribunale di Mondovì furono ritenute più pressanti di quelle della procura della Repubblica di Marsala «tanto c’è Borsellino; se la sbrighi lui da solo!. Borsellino è abituato a lavorare, ma non sa fare miracoli», dice il magistrato.
Sempre in quella occasione, il magistrato afferma che «a Marsala c’è Costa Nostra, c’è la mafia». Anzi, dice, «c’è un santuario» delle cosche mafiose con pochi o nulla controlli da parte delle forze dell’ordine: «Il fratello di Salvatore Riina abita a Mazara del Vallo da circa 20 anni e, per una certa situazione riguardante le forze di polizia, pur sapendo che si recava ogni settimana a Corleone, non era mai stato fatto un pedinamento..io ho rilevato l’esigenza di farlo».
Alla luce di quanto avvenuto in questi mesi, è «interessante il fatto che Borsellino si lamenti che la zona di Trapani e di Marsala sia considerata un “santuario intoccabile” per cui in quella zona l’azione di controllo e indagine non poteva e non doveva essere svolta», rileva oggi l’attuale presidente della Commissione Antimafia, Nicola Morra, il quale ricorda che «Matteo Messina Denaro a Castelvetrano ha passato parte della latitanza» e cita l’imprenditore Vito Nicastri «che con Arata operava in quel territorio. Nicastri e Arata significano Siri e sappiamo anche che la massoneria risulta da alcune indagini coinvolta in queste dinamiche opache».
La desecretazione dei documenti rende ascoltabili e leggibili anche le parole di Falcone che spiega l’iniziale diffidenza verso la legge La Torre con «il vecchio mito che pensava che la mafia sia inafferrabile», chiede misure premiali per chi collabora ed invita ad avere pazienza e costanza nella lotta alle mafie: «se pensiamo di poter pervenire a determinati risultati eclatanti attraverso scorciatoie sbagliamo di grosso», dice.
Tra gli audio e le tante carte a disposizione, spiccano le parole del capo del pool antimafia di Palermo – di cui Falcone e Borsellino fecero parte – Antonino Caponnetto: «Non tutte le quattro stanze (dedicate al pool ndr) sono ancora agibili – dice nel maggio 1984 – perché ci sono grossi problemi per gli allacciamenti telefonici e per altre cose: tutte difficoltà che sembrano banali nell’enumerarle perché si pensa che dovrebbero essere facilmente risolvibili mentre invece si incontrano sempre intoppi di ogni genere che rinviano di giorno in giorno la soluzione». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA