Date a Noto, Enna, Marsala e Agrigento
Moni Ovadia: «”Il casellante” un’ode alla forza delle donne»
Un anno dopo il debutto a Spoleto e la prima siciliana di Caltanissetta, la trionfale tournée, dopo Palermo, va a Noto, Enna, Marsala e Agrigento. Tra i protagonisti Moni Ovadia, Valeria Contadino e Mario Incudine. Ovadia: «C’è tutto lo sguardo di Camilleri di profonda compassione e ammirazione per il mondo femminile, verso una donna che, ferita in modo terrificante, torna alla vita trasformandosi in albero»
La Sicilia del mito e della cultura contadina si incontra con uno dei temi più forti del presente, la violenza sulle donne, e con la lingua magica e poetica di Andrea Camilleri nello spettacolo Il casellante, in scena con la regia di Giuseppe Dipasquale al Teatro Biondo di Palermo fino a ieri, poi martedì 14 marzo al Tina Di Lorenzo di Noto, mercoledì 15 al Garibaldi di Enna, giovedì 16 marzo al Teatro Impero di Marsala, dal 17 al 19 marzo al Pirandello di Agrigento. Lo spettacolo torna in Sicilia quasi un anno dopo la messinscena al Regina Margherita di Caltanissetta che seguì di pochi giorni il debutto assoluto a Spoleto per il Festival dei Due Mondi.
L’orribile storia di violenza nel piccolo universo di un casello ferroviario, nella Sicilia arcaica e feroce degli anni della guerra, è narrata in scena da Moni Ovadia, cantore di popoli, strepitoso interprete che sa dare voce al dolore del mondo, di ieri e dei nostri giorni, e sbeffeggiare l’arroganza del potere.Ovadia narra la storia del casellante Nino, uno straordinario Mario Incudine, autore anche delle musiche eseguite dal vivo, e della moglie Minica, una intensa e dolente Valeria Contadino, che subisce una violenza bestiale e inumana mentre è in attesa di un bimbo.
Moni Ovadia, Andrea Camilleri e Mario Incudine a casa dello scrittore empedoclino
Tratto dall’omonimo romanzo di Camilleri, pubblicato da Sellerio, e prodotto da Promo Music – Corvino Produzioni, con il Teatro Carcano di Milano e il Teatro Regina Margherita di Caltanissetta, Il casellante vede in scena anche Giampaolo Romania e Sergio Seminara e i musicisti Antonio Vasta e Antonio Putzu. Dopo la tournée siciliana lo spettacolo sarà dal 23 al 28 maggio al Sistina di Roma.
«Un esordio singolare – commenta Moni Ovadia – sono emozionato nel misurarmi con un nuovo pubblico. Camilleri è uno scrittore di una popolarità che travalica i lettori grazie al Montalbano televisivo, un grandissimo scrittore e uomo di teatro con cui Dipasquale ha già un sodalizio rodato». Il casellante spiega, «è uno spettacolo prodigioso di teatro musicale con sullo sfondo la violenza della guerra e la stupidità del fascismo, con una prima parte picaresca, che immerge in una terra contadina, nella Vigata immaginaria di Camilleri, e una seconda parte di violenza e tragedia. Per me è un privilegio grandissimo usare la sua lingua reale e “inventata” che è musica e ritmo e si iscrive nella grande linea della letteratura del Novecento».
Nella foto di Antonio Parrinello, gran parte del cast de “Il casellante” (manca solo Giampaolo Romania): da sinistra Sergio Seminara, Moni Ovadia, Mario Incudine, Antonio Vasta, Antonio Putzu e Valeria Contadino
La musica si rifà alla tradizione delle canzoni di barberia, pesca una “sconcica”, una serenata che tocca amore e dolore. Quello terribile di Minica. «C’è tutto lo sguardo di Camilleri di profonda compassione e ammirazione per il mondo femminile, verso questa donna che, ferita in modo terrificante, con uno spasimo utopico per cercare di tornare alla vita lei, si trasforma in albero. E nel finale, dalla grande violenza della guerra tornerà la vita».
«Un testo toccante – prosegue Ovadia – ci troviamo davanti a una violenza di genere, all’orribile stupro sulle donne. Camilleri è straordinario nella sua capacità di unire l’ironia, il colore, il tono leggero e divertente nel raccontare il piccolo mondo del paese con i suoi personaggi e i suoi riti e nel contempo commuoverci e toccare corde più profonde con una utopia mitologica, con una metamorfosi, chiudendo poi con un elemento di speranza».Con la sua energia incontenibile e la passione per il teatro, Ovadia in scena si divide per sei: narratore, la mammana, il casellante violentatore, un giudice, il barbiere e un gerarca fascista.
Mario Incudine e Valeria Contadino, foto di Antonio Parrinello
«Un gran divertimento – ammette ridendo nella cornetta del telefono – un modo di rimettermi in gioco per evitare di totemizzare il mio percorso nella cultura yiddish. Sono profondamente legato alla Sicilia dove ho avuto incontri determinanti per la mia formazione culturale ed emotiva». Una grande amicizia lo ha legato a Ignazio Buttitta – «ho prodotto un disco con lui» -, poi un sodalizio fortissimo è scaturito con Roberto Andò – «con cui abbiamo messo in scena quattro spettacoli a quattro mani» racconta -, in tempi più recenti si è rafforzato il legame con Palermo «di cui sono cittadino onorario», ed ultimo sodalizio, non solo artistico, è l’amicizia e la collaborazione con Mario Incudine «con cui abbiamo realizzato al Teatro greco di Siracusa una edizione de Le supplici innovativa e di successo».
Dall’anno scorso Ovadia è il direttore artistico, a titolo gratuito, del Teatro Regina Margherita di Caltanissetta e da questa stagione anche del Teatro comunale Eliodoro Sollima di Marsala. «L’intento è quello di cercare di costruire una rete, di aggregare diversi teatri della Sicilia dell’interno per creare una sorta di Stabile. Questo consentirebbe di stabilire dei ponti anche per ospitare gli spettacoli».
In Sicilia confessa di sentirsi a casa, «anche perché sono tossicodipendente da dolci – scherza – la pasticceria siciliana fuori da ogni dubbio è la più grande del mondo, ha unito quella araba e quella mitteleuropea». Ma non si tratta solo dei piaceri della gola. «Ho 70 anni e per me la stagione siciliana è un grande dono, la possibilità di fare un altro tratto della mia storia a confronto con questa terra. La Sicilia è un’iperbole, si può dire bene e male, ma la bellezza, la qualità del tessuto culturale che c’è nell’Isola non si trova in nessuna altra parte della galassia. Una cultura talmente stratificata da scoprirne sempre aspetti nuovi. Il guaio è che non tutti si rendono conto che formazione e cultura sono la migliore strategia per un realizzare davvero un cambiamento profondo della società».
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