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Sentenze pilotate, svelati altri due anelli arrestati Bigotti ed ex tecnico dell’Eni

Di Redazione |

MESSINA – Finanzieri del Comando Provinciale di Messina stanno eseguendo due provvedimenti di arresti domiciliari nei confronti di Ezio Bigotti, imprenditore piemontese, presidente del gruppo STI aggiudicatario di numerose commesse della Centrale acquisti del Tesoro (Consip), e di Massimo Gaboardi, ex tecnico petrolifero Eni. Sono accusati di corruzione in atti giudiziari e falso ideologico commesso da pubblico ufficiale.

Il procedimento è legato all’inchiesta della Procura di Messina, guidata da Maurizio de Lucia, sul cosiddetto «Sistema Siracusa» che, a febbraio dell’anno scorso, ha portato all’arresto di 13 persone accusate di far parte di un «comitato di affari» capace di condizionare indagini e procedimenti giudiziari. L’indagine coinvolse, oltre all’ex pm di Siracusa Giancarlo Longo, gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore che da mesi collaborano coi magistrati.

L’inchiesta a carico di Bigotti ha ricostruito una serie di illeciti commessi dai due avvocati con la complicità dell’ex pm Longo e di alcuni consulenti della Procura di Siracusa nominati dal magistrato per favorire l’imprenditore piemontese nell’ambito degli accertamenti che venivano svolti su imprese a lui riconducibili dalle Procure di Torino, Roma e Siracusa. Bigotti sarebbe stato «aiutato» anche in sede tributaria all’esito della richiesta di voluntary disclosure avanzata da una società del suo gruppo in relazione ad accertamenti dell’Agenzia delle Entrate. L’indagine ha anche fatto luce su una complessa operazione giudiziaria pianificata dall’avvocato Amara, e realizzatasi grazie alla complicità di Longo, finalizzata ad ostacolare un’indagine svolta dalla Procura di Milano nei confronti degli ex vertici dell’Eni. Le Fiamme Gialle stanno eseguendo perquisizioni nei confronti degli indagati nelle province di Roma, Milano e Torino.

Tornando a Bigotti, l’imprenditore era stato processato a Torino e assolto dall’accusa di millantato credito. La sentenza di primo grado era stata confermata dalla Corte di Appello il 27 marzo 2018. La vicenda risaliva al 2015 ed era legata a un appalto per una infrastruttura, il cosiddetto passante ferroviario di Corso Grosseto nel capoluogo piemontese. Nell’ambito di quell’indagine emerse un’ipotesi di frode fiscale a carico dell’imprenditore; gli atti furono trasmessi per competenza territoriale alla Procura di Siracusa dove, dopo il conferimento di una consulenza contabile, un pubblico ministero chiese l’archiviazione.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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