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L’ingegnere catanese che “costruisce” col suono
In principio era la musica: la passione per il basso, suonato sin da tredicenne con una band di amici in sala prove in via Caronda. In principio erano le sette note, poi la passione si è allargata alla dimensione totale del suono: così il 24enne catanese Michele Spadaro, dopo il liceo scientifico, ha scelto di esplorare le lande – sottovalutate in Italia – dell’ingegneria del suono. A 18 anni si è trasferito a Londra per conseguire questa laurea “di nicchia” che in Sicilia non esiste.
«Avevo provato – spiega infatti – Ingegneria elettronica a Catania, seguendo il percorso canonico dell’ingegnere elettronico che poi si specializza in Ingegneria del suono. Ma essendo un percorso un po’ obsoleto e visto che il carico di studio mi allontanava troppo dalla musica, dopo un trimestre ho scelto di andare a Londra dove esiste un percorso di studi specifico e mirato». Dapprima un corso di sei mesi al termine del quale ha conseguito nel 2014 un certificate in Produzione musicale e ingegneria del suono al Point Blanck London («Avevo fortunatamente fatto la primina, quindi mi sono potuto “permettere” un anno “sabbatico”, anche se tale non è stato»), e poi il percorso per la laurea in Produzione audio (in altre parole, in Ingegneria del suono) conseguita nel 2016 al Sae Institute a Londra.
«L’ingegnere del suono – spiega – ha tanti sbocchi professionali. Può occuparsi di cinema: andare sul set a registrare gli attori oppure curare il mixaggio o la ricerca di suoni ulteriori; può occuparsi di radio; può lavorare nel settore dei videogame collaborando, per la parte dell’audio digitale, con il programmatore; può occuparsi di sonic art, dove sfrutti l’elemento audio in un senso più artistico. Ad oggi è un settore che secondo me in Italia è sottovalutato: vedo pochi ragazzi appassionatissimi di musica, anche se secondo me questo è un mestiere che va molto oltre la musica. La musica costituisce infatti un 30%-40%, in Italia anche meno, di quello che può essere l’occupazione di un ingegnere del suono».
Una volta conseguita la laurea a Londra e rientrato in Italia, l’ingegnere Spadaro per un anno ha lavorato a Milano per “Quiet, please!”, una compagnia che si occupa di «curare l’audio prevalentemente in ambito pubblicitario a livello nazionale e internazionale (abbiamo ad esempio curato la campagna Campari e quella Tim). Io mi sono occupato in particolare della selezione musicale del brano per gli spot di Telecom-Tim, trovando su Youtube anche il video del ballerino, virale per le sue mosse su altra musica. A Tim è piaciuta sia la canzone sia il video e così, per la prima volta, lo studio è riuscito ad avere, oltre alla cura della parte musicale, anche il management del ballerino».
Poi la decisione di tornare a Catania da freelance: «Ora sono un po’ il capo di me stesso. Ho voluto provare le due esperienze – dipendente a Milano e freelance a Catania – in modo da capire quale è quella che mi appartiene di più. Alla fine riesco in tutte e due, però da dipendente ero un po’ più soffocato: una cosa non bellissima per un creativo».
Due i progetti in cui l’ingegnere del suono etneo si è misurato all’ombra del Vulcano. Il primo, “Music for urban garden”, è un progetto in via di installazione all’Horto in Hotel del Four Points by Sheraton Catania: «L’idea dietro il progetto è utilizzare i dati di sensori – quelli che si usano in agricoltura per misurare l’umidità del terreno, la temperatura, il vento – per modificare una musica scelta da me. Un programma creato da me utilizza infatti degli algoritmi che, in base alle informazioni che ricevono dai sensori, creano determinati suoni (più acuti e brevi) se la pianta è secca, o li ammorbidiscono, aggiungendo un riverbero o una nota più lunga che dà un senso di rilassatezza, quando la pianta viene innaffiata e quindi è in uno stato di benessere. Il concetto è creare un ibrido tra il mio estro artistico, che si esplica nel programma che ho creato per generare i suoni, e le interazioni con la natura: una sorta di ibrido tra il circuito elettronico e la parte digitale e musicale (la sonic art). Ogni singolo suono è studiato per lo spazio specifico, in questo caso l’orto, e deve rispecchiare le condizioni ambientali del posto: in tal modo, si personalizzano questi spazi urbani con contaminazioni sonore e si crea una colonna sonora a cavallo tra la natura e una musica non canora». Lo scopo dell’installazione è puramente artistico: «Arricchire quello spazio di una dimensione sonora».
L’altro progetto, attualmente operativo, dell’ingegnere Spadaro è installato al padiglione Phil Stern nel Museo dello sbarco delle Ciminiere a Catania: nella mostra curata dalla Fondazione Oelle al professionista etneo sono state affidate tre fotografie per aggiungervi una dimensione sonora. Il visitatore «ha a disposizione due cuffie con le quali può ascoltare il “paesaggio sonoro” relativo alle immagini. L’esperienza, di un minuto e 40 secondi, scorre dall’immagine di sinistra verso quella di destra, spostandosi ogni 45 secondi con i suoni caratteristici e molto realistici che raccontano il paesaggio sonoro. Sono tutti suoni originali degli oggetti che vediamo nelle immagini». Le foto rappresentano, rispettivamente, lo sbarco degli Alleati in Sicilia, un mitragliamento aereo con una Browning e un soldato che guarda le esplosioni in lontananza in un campo. «Per me – racconta l’ingegnere – è stata una esperienza molto suggestiva, ma altrettanto lo è stata – come mi è stato confermato – anche per altre persone, specialmente quelle che hanno vissuto quei suoni durante la seconda guerra mondiale. L’ulteriore approccio per rendere la mia applicazione ancora più efficace è stato includere la nuova tecnologia psicoacustica che permette di rendere l’audio tridimensionale». E, se le immagini in 3D non sono più una novità (anzi si sono rivelate un mezzo flop), cosa diversa è il suono in 3D: «Quando ascoltiamo attraverso le cuffie – spiega l’ingegnere del suono -, noi abbiamo un ascolto isolato dall’esterno. Se riusciamo a capire quali sono i parametri che il nostro cervello usa per localizzare i suoni, possiamo ingannare il nostro orecchio ricreandoli attraverso degli effetti. I parametri relativi alla localizzazione dell’ascolto sono per grossi capi tre: la variazione di volume fra le due orecchie, la differenza di tempo e un’ultima variabile che permette di capire il cambio di frequenze. Se queste variabili vengono messe insieme appropriatamente creando una rete di parametri in grado di rispecchiarle, è possibile ricreare l’illusione di un suono che si sente non più dentro la testa in stereo, ma fuori dalla testa, dando la possibilità di percepirlo a 360 gradi. Esiste quindi questa realtà dell’audio 3D, secondo me molto più potente del video 3D che fu un flop, di cui stanno discutendo oggi i più grandi esperti al mondo di questo settore».
In Italia, purtroppo, se ne parla poco e la stessa Milano, capofila nel settore nel Belpaese, è decisamente in ritardo. «Qui è come se mancasse il tempo da applicare a questa materia. Noi la musica la snobbiamo, in Inghilterra invece la studiano non solo nelle sezioni musicali ma sin dall’inizio del percorso scolastico. Bisogna partire dalla formazione delle persone in ambito musicale e poi da lì andare avanti».
Tuttavia, anche se il percorso qui è più difficile, l’ingegnere etneo non si è pentito di essere tornato, anche se ha intenzione di rimanere internazionale: «Voglio iscrivermi al Berklee’s master in Music production, technology and innovation all’università Mba di New York che mi permetterebbe di avere accesso alla professione anche in America. E poi da lì non si sa. Una volta che capisci quale è la cosa che ti piace più fare, infatti, devi diventare un professionista vero in quel campo. Io vorrei specializzarmi nel sound effects, quindi nella produzione ad altissimi livelli di sonorizzazione di film: se faranno un giorno un film in realtà virtuale, voglio essere quello che fa l’audio. Oppure mi piacerebbe lavorare nell’ambito dei videogame, quindi nell’audio digitale: a oggi il mercato più grande di tutti».
Il giovanissimo professionista ai coetanei che vorrebbero intraprendere questa strada consiglia «anzitutto di non impelagarsi in prestiti universitari. Se uno è vivace e ha voglia di capire le cose, intanto può andare su internet dove ci sono corsi universitari online che consentono di avere un primo approccio con la materia anche restando a casa. Poi, però, purtroppo bisogna andare comunque fuori. Dipende comunque sempre da quello che è l’obiettivo: se vuoi andare a fare il fonico per i live va benissimo quello che trovi qua, ma se vuoi fare ricerca o arrivare a un certo livello devi andare quantomeno a Milano. Sapendo però che, dopo avere investito tanti soldi per studiare in un ateneo meneghino, poi arriva quello da Londra o dagli Usa che è più qualificato solo perché viene dall’Inghilterra o dall’America». In principio, quindi, era la musica. Ma la musica continua ad esserci, anche se più “computerizzata” e meno suonata: «Quando però ricomincio a suonare, magari riunendomi ai vecchi amici della band in estate o a Natale, dimentico tutto».
Il sogno dell’ingegnere Spadaro «è avere una vita itinerante: vorrei potere seguire i grandi eventi, spostarmi a seconda dei lavori che mi commissionano. Ogni anno, ogni sei mesi cambiare progetto, cambiare luogo, scoprire un nuovo posto, però anche mettere un po’ le radici: io sono uno a cui piace casa». Tanto è vero che è tornato… «Catania per me è un porto sicuro, però se si potesse riuscire a spingere questo settore sarei ancora più contento». Il rischio, per questa Sicilia da cui tanti sono costretti a fuggire, è perdere anche questa ulteriore professionalità: il master di un anno a New York, infatti, dà la possibilità di ottenere il visto di lavoro americano per tre anni. La prospettiva in Sicilia, invece, quale è? COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA