Cronaca
Coronavirus, le “zone rosse” della mafia a rischio di pericolose infiltrazioni in Sicilia
CATANIA – L’allarme, dopo aver viaggiato nelle carte riservate dell’intelligence interna, è finito anche nero su bianco in un rapporto ufficiale sul tavolo del Viminale. Che ha girato l’alert a tutti i questori d’Italia, con particolare livello d’allerta per il Sud e per la Sicilia. La filiera è dirompente: caos da coronavirus, disperazione sociale e focolai (più o meno spontanei) di rivolta, si saldano con gli interessi delle mafie. Diventandone armi e strumenti, in una fase in cui anche il business criminale si riorganizza in base al nuovo scenario.
C’è il report degli 007, svelato da Repubblica, in cui s’informa Palazzo Chigi del «potenziale pericolo di rivolte e ribellioni, spontanee o organizzate, soprattutto nel Mezzogiorno d’ Italia dove l’economia sommersa e la capillare presenza della criminalità organizzata sono due dei principali fattori di rischio». Un collage di episodi noti, ma anche di movimenti sotterranei in corso. «Non bisogna fare i professorini – ammette a La Sicilia il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio – e questo contesto va analizzato con la consapevolezza che tutte le categorie, sociologiche e sociali, a cui eravamo abituati non reggono».
Ma allora come fa un pm a distinguere il disperato vero dal potenziale soldatino dei boss? «In un clima di tensione e coprifuoco, lo Stato dev’essere giusto, fornendo garanzie sociali agli ultimi, ma allo stesso tempo severo». Da qui la sua provocatoria bocciatura di qualsiasi ipotesi di depenalizzazione: «È stato un errore, ci voleva più coraggio», ripete. Aggiungendo la necessità di «norme severe e effettività della sanzione penale». La mafia dietro alle rivolte sociali che covano in Sicilia? «La chiave di lettura del sindaco Orlando, secondo me, non è corretta». Soprattutto se riferita a «quel sottoproletariato urbano, violento e non classificabile», lo stesso che «butta le pietre ai poliziotti a Ballarò o allo Zen». Soggetti che «magari guardano alla mafia, ma che soprattutto sono contro lo Stato».
E poi c’è una direttiva della Dac (Direzione centrale anticrimine), diramata in queste ore dal capo della polizia Franco Gabrielli ai vertici territoriali. In questi giorni, scrive Francesco Messina, direttore della Dac, diventa ancor più necessario «un mirato e specifico sostegno informativo e investigativo» sui «futuri scenari evolutivi della criminalità organizzata» . «La crisi attuale», è il punto di partenza, sarà «portatrice di un deficit di liquidità, di una profonda rimodulazione del mercato del lavoro, del conseguente afflusso di ingenti finanziamenti pubblici nazionali e comunitari».
E quindi i «tentativi di reclutamento» degli imprenditori, avanzati dai mafiosi, si moltiplicheranno. E c’è anche una precisa mappa delle “zone rosse” a livello imprenditoriale, con «particolare attenzione ai settori della filiera agro-alimentare, delle infrastrutture sanitarie, della conseguente gestione di approvvigionamenti specie di materiale medico», ma anche «il controllo dei settori della distribuzione al dettaglio e della piccola e media impresa». A rischio sono anche settori oggi “congelati” e dunque domani ancor più in affanno, come «il comparto turistico alberghiero e della ristorazione».
Il tutto in uno scenario tutt’altro che imprevedibile: le mafie sono «solite operare nelle pieghe delle criticità sociali», scrive la Dac. E la crisi – sanitaria, ma anche economica e sociale – legata al Covid-19 è il brodo di coltura ideale. Del resto il contesto «economico finanziario risulta appetibile»: i mafiosi lo sanno già in tempo reale. E la strategia di «reinvestire flussi significativi di capitali in diversi segmenti del tessuto produttivo e finanziario» sarà, a breve, pronta. Soprattutto al Sud. Da Roma arriva un input chiaro a tutti i questori: è «opportuno che le squadre mobili si attivino e concorrano subito alla ricerca e l’acquisizione di un patrimonio informativo» mirato a rappresentare «l’attuale realtà economica» ma soprattutto «le sue eventuali imminenti criticità». Una fotografia attuale, provincia per provincia, per poter poi monitorare, seguendo il flusso dei soldi, i futuri movimenti. E poi stabilire «modelli investigativi e operativi condivisi con le Autorità giudiziarie».
Una questione approfondita e rilanciata con forza da Claudio Fava. «Le periferie del Sud, soprattutto delle aree più depresse stanno diventando autentiche polveriere sociali. I sindaci, troppe volte lasciati soli, non possono fronteggiare questa emergenza senza strumenti adeguati e senza l’aiuto concreto della Regione e dello Stato», dice il presidente dell’Antimafia siciliana. «Sempre più evidente – sottolinea Fava – è il rischio che le mafie approfittino della situazione utilizzando la loro liquidità per costruire un vero e proprio welfare criminale tra usura (non a caso l’unico reato in aumento in questi giorni di quarantena collettiva, ndr): e corruzione. Anche gettando benzina sul fuoco della disperazione». E poi c’è i tema degli appalti: tutti fermi, tranne quelli dei settori in emergenza. Con procedure d’emergenza. In cui la mafia, ormai, ha manager all’altezza della situazione.
Twitter: @MarioBarresi
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