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Quello tsunami che 8 mila anni fa devastò il Mediterraneo

Di Redazione |

Certo, le probabilità, per fortuna, sono talmente basse che non sono nemmeno misurabili, ma lo stesso Ingv pur rifiutando un approccio sensazionalistico non può escludere il rischio che, come ha spiegato su meridionews il direttore della sezione di Catania dell’Ingv Eugenio Privitera accada un «un cosiddetto collasso di versante», tanto è vero, ha aggiunto «che il Dipartimento nazionale della Protezione Civile lo considera tra gli scenari possibili» aggiungendo poi che «in ogni caso, è chiaro che se si dovesse verificare, il collasso provocherebbe inevitabilmente uno tsunami».

Eppure non si tratterebbe di un evento inedito per il Catanese e per la Sicilia in generale perché si tratta di fenomeni di cui si ha notizia a partire da ottomila anni fa, passando per quello del 1693 fino a quello del 1908. Il maremoto o tsunami è insomma un fenomeno la cui probabilità è remota dalle nostre parti ma non è del tutto da escludere.

Il maremoto è un anomalo moto del mare, originato da un terremoto sottomarino o da altri eventi che comportano lo spostamento improvviso di una grande massa d’acqua quali, per esempio, una frana, un’eruzione vulcanica sottomarina o l’impatto di un meteorite.

L’intensità di un maremoto dipende dalla quantità di acqua spostata al momento della formazione del fenomeno stesso, intensità valutabile quando, appunto, l’onda raggiunge le coste: in generale, uno tsunami che lungo la costa non supera 2,5 metri d’altezza non provoca gravi danni un’onda di oltre 4-5 metri d’altezza risulterà invece distruttiva.

Ma, come avviene per la comune propagazione delle onde, quando si avvicina alla costa, il fronte del maremoto frena a causa del fondale sempre più basso. L’attrito lo rallenta e per il principio di «conservazione dell’energia», la forza cinetica diventa energia potenziale, con il conseguente sollevamento in altezza e in ampiezza dell’onda.

A questo punto, uno tsunami che in pieno oceano viaggiava a una velocità di 600 chilometri orari, avrà rallentato la sua corsa fino a circa 90 chilometri orari, con lunghezze tipiche di vari chilometri, e le onde saranno cresciute in altezza: in alcuni casi anche di decine di metri.

Le zone più a rischio maremoto sono quindi quelle costiere in prossimità di aree sismogeniche, quali quelle presenti vicino ai confini di placche tettoniche dove si registrano i terremoti più forti della Terra: questo corrisponde sostanzialmente all’intera area della Cintura di Fuoco nel Pacifico, su ciascuna costa occidentale e orientale, e a quella dell’Oceano Indiano, meno frequentemente nell’Oceano Atlantico e nel Mar Mediterraneo, dove comunque nei millenni vi sono stati eventi catastrofici.

A rischio maremoto nel Mediterraneo sono le coste della Grecia, ma anche quelle della Sicilia orientale. Qui, nei millenni, più volte lo tsunami ha colpito provocando danni e vittime. Circa 8000 anni fa, per esempio, un maremoto devastò il Mediterraneo interessando le coste della Sicilia orientale, l’Italia meridionale, l’Albania, la Grecia, il Nord Africa dalla Tunisia all’Egitto, spingendosi sino alle coste del vicino Oriente, dalla Palestina, alla Siria e al Libano. La causa fu lo sprofondamento in mare di una massa di 35 chilometri cubi di materiale, staccatosi dall’Etna. L’onda iniziale che si generò – secondo uno studio condotto qualche anno fa dai ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), – era alta più di 50 metri e raggiunse le propaggini estreme del Mediterraneo orientale in 3 o 4 ore, viaggiando alla velocità di diverse centinaia di chilometri orari. Ma nei millenni successivi, come si è accennato, altri maremoti hanno colpito la costa orientale della Sicilia. Almeno tre nell’ultimo millennio: nel 1169, nel 1693 e nel 1908.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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