Politica
Crisi di Governo, Conte orientato a lasciare per “sfrattare” Salvini dal ministero dell’Interno
Il primo tempo della partita si giocherà lunedì, nella riunione dei capigruppo del Senato. Si decideranno lì i tempi e i modi dell’apertura formale della crisi. Ed è una battaglia tutti a colpi di regolamento e di mosse a sorpresa, quella che si combatte in queste ore.
Matteo Salvini, contando di aver bruciato sul tempo la richiesta di Conte di riferire alle Camere, chiede che si voti prima la sua mozione di sfiducia: nel caso di comunicazioni il premier prenderebbe la parola per primo (e poi potrebbe scegliere di andare a dimettersi), nell’altro caso sarebbe Salvini ad aprire le danze. E mentre gli uffici studiano, nei contatti informali tra i gruppi spunta l’idea di convocare le Camere tra il 19 e il 20 agosto, date che lasciano aperta la possibilità che si voti a fine ottobre (la Lega vorrebbe il 13, più probabile il 27).
In ogni caso, secondo fonti M5s, Conte starebbe valutando di comunicare al capo dello Stato di non avere intenzione di continuare a gestire il governo, sia pure per l’ordinaria amministrazione: questa mossa aprirebbe la strada a un governo di garanzia per traghettare il Paese al voto e sbarrerebbe a Salvini la possibilità di gestire le elezioni dal Viminale.
Il premier preferirebbe, ragionano fonti parlamentari, presentarsi alle Camere solo dopo impegni istituzionali come il G7 che si aprirà a Biarritz il 24 agosto e dopo aver comunicato all’Ue il nome del commissario italiano, che a questo punto sarebbe di sua diretta indicazione. Ma la Lega preme per far presto e anche se non otterrà di votare già questa settimana (difficile convocare i parlamentari ad horas, anche considerato che il 14 agosto ci sono a Genova le celebrazioni per l’anniversario del ponte Morandi), la convinzione è che non si andrà molto oltre il 20.
La Lega vuole sfiduciare Conte. Salvini – ma non si trova conferma – avrebbe anticipato le sue intenzioni mercoledì in un colloquio al Quirinale al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il capo dello Stato ora osserva gli sviluppi, si è preso qualche giorno di relax alla Maddalena e attende l’apertura formale della crisi, per poi avviare al Quirinale quelle che già si annunciano come consultazioni lampo.
Il premier, dicono i suoi, per ora è deciso a sfidare in Aula Salvini. Il Pd, che con Nicola Zingaretti insiste per il voto (la Lega avrebbe ricevuto rassicurazioni su questo), vuole evitare che sia il leader della Lega a gestire dal Viminale il voto. Il M5s vuol provare a incassare il voto finale sul taglio dei parlamentari (si prolungherebbe così anche la vita della legislatura).
E’ su queste basi che si gioca la partita. «In una situazione non ordinaria – dice una fonte – ragioniamo in modo non ordinario, passo dopo passo». Anche perché, dicono dalla maggioranza come dall’opposizione, non si può ignorare un fattore che da un momento all’altro potrebbe sconvolgere tutti i piani: l’impennata dello spread.
Lunedì M5s e Lega armeranno le truppe, in due assemblee di gruppo, i pentastellati la mattina e i leghisti la sera. Nelle opposizioni la notizia viene guardata con sospetto: non è – ci si chiede – che alla fine i gialloverdi torneranno insieme, magari con un totale riequilibrio di forze nel governo?
Salvini non torna indietro: sarà lineare, assicurano i leghisti. Mentre più agitate sono le acque in casa Cinque stelle. Si racconta di diversi tentativi di contatto, negli ultimi giorni, dei parlamentari pentastellati con i colleghi Dem. Su un asse in particolare, secondo i rumors, viaggerebbe una traccia di dialogo: quello che va da Roberto Fico a Dario Franceschini, passando per Matteo Renzi. Le voci si rincorrono: si parla di un colloquio in giornata tra il presidente della Camera e Franceschini, anche se i diretti interessati smentiscono.
I Cinque stelle dei contatti con i Dem dovrebbero parlare lunedì in assemblea. Sullo sfondo c’è l’idea, per ora tutta teorica e ardua da realizzare, di un tentativo in Parlamento per sostenere un esecutivo di transizione che faccia la riforma per il taglio dei parlamentari e metta al sicuro i conti pubblici. Chi potrebbe starci? Oltre ai peones senza gruppo condannati alla non rielezione, secondo le elucubrazioni, anche i renziani che temono di essere tagliati fuori dalle liste di Zingaretti, qualche forzista e il grosso della truppa pentastellata.
Ma i renziani frenano le voci: tutto prematuro. E da Fi assicurano che, finché Salvini terrà accesa la fiammella di una possibile alleanza, gli azzurri terranno la linea pro-voto di Berlusconi.
In un accavallarsi di piani, è già di elezioni che si ragiona nei partiti. Con i movimenti al centro, i renziani nel Pd tentati dalla corsa solitaria e Fi e Fdi in pressing su Salvini per l’alleanza. Ma questa è già un’altra storia. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA