Politica
Elezioni Europee: tra vincenti e trombati, ecco la nuova mappa del “potere” in Sicilia
CATANIA – Non c’è neanche bisogno di aspettare l’alba. L’esprit du temps, nella frontiera meridionale del Vecchio Continente, sono i 181mila siciliani che domenica, nella scheda elettorale, hanno scritto “Salvini”. È il leader leghista il più votato alle Europee nella circoscrizione Isole (239.078 preferenze se si considera anche la Sardegna), con lo sfizio di un suggestivo 45% della Lega a Lampedusa, patria galleggiante del secondo candidato più votato, Pietro Bartolo (135mila voti il dato complessivo, di cui 115mila al di sotto dello Stretto), il medico che, dopo l’anima dei migranti, cura le inguaribili fratture del Pd siciliano.
Salvini e Bartolo. L’alfa e l’omega. Il diavolo e l’acqua santa. Tutto e il contrario di tutto. Sono i due simboli, portentosamente efficaci, di una terra in cui di opposti. Lasciando in mezzo una variegata tribù di vincitori e vinti. Con molte più di cinquanta sfumature di grigio.
L’isola in giallo (più sbiadito)
Al di là dell’exploit leghista, il primo partito in Sicilia resta il Movimento 5 Stelle che mantiene un robusto 31%. Perdendo quasi 20 punti (e circa 700mila voti rispetto ai 1.181.357 alla Camera di poco più di un anno fa), ma incassando il miglior risultato a livello nazionale. Insieme al Sud è l’unica oasi in cui Luigi Di Maio può ripararsi da una sconfitta pesante.
La Sicilia resta dipinta di giallo. Paglierino, più sbiadito. Anche nella ricostruzione delle dinamiche interne. «Siamo l’unica regione che ha tenuto alla grande, dopo il successo dei ballottaggi», rivendica con i suoi Giancarlo Cancelleri, quasi a voler ricordare che «qui il capo sono io». Ma l’establishment regionale grillino deve inghiottire il boccone amaro del clamoroso successo del catanese Dino Giarrusso, ex Iena tv, il più votato in assoluto. Battendo, seppur in volata, l’uscente (e rientrante) Ignazio Corrao, candidato sostenuto dallo zoccolo duro dei portavoce regionali e nazionali. E se gli elettori siciliani hanno riservato una clamorosa bocciatura ad Alessandra Todde, la capolista sarda imposta da Di Maio, facendole perdere il seggio a Bruxelles, l’altro segnale che la base ha voluto dare è altrettanto chiaro. E cioè che l’attuale gruppo dirigente regionale, nato con un parto in acqua nella traversata di Beppe Grillo sullo Stretto nel 2012, non è più una maggioranza così bulgara. Nessuna resa dei conti, per adesso. Ma nelle prossime scelte, a partire dalla costruzione del futuro candidato governatore, i numeri di domenica conteranno.
L’exploit della “nuova” Lega
Il boom di Salvini sta tutto nei numeri: dall’1% alle Europee del 2014 al 22,4% di domenica, quadruplicando la percentuali delle Politiche di marzo. È il definitivo sbarco della Lega in Sicilia. Il vicepremier, com’è noto, non andrà a Bruxelles (dove, peraltro, non ha lasciato statistiche memorabili per quantità e qualità di lavoro), ma il dato impressionante è il consenso personale. Un lustro sembra un secolo, se si pensa che nel 2014 il leader incassò poco più di 10mila preferenze, superato anche dal giovane “leghista delle fragole”, Antonio Mazzeo da Bronte.
L’altra analisi riguarda la netta vittoria del commissario Stefano Candiani. La linea, concordata con Salvini, era chiara a chiunque non volesse foderarsi gli occhi di prosciutto padano: “prima il Capitano”; e poi le due donne che correvano assieme a lui, e cioè Annalisa Tardino e Francesco Donato. Alle quali adesso vanno i due seggi virtuali, per la gioia del gruppo dei loro sostenitori: dal mancato candidato catanese Fabio Cantarella col sindaco di Motta, Anastasio Carrà, al messinese Matteo Francilia (già “pulcino” del vivaio di Gianpiero D’Alia), fino al deputato Alessandro Pagano, che si riabilita dopo essere stato buggerato dai grillini nei ballottaggi del Nisseno. Qualche fac-simile per questa causa l’avrebbe speso, senza sprecarsi, il sindaco ex forzista di Catania, Salvo Pogliese.
Gli appena 20mila voti ricevuti (compresi quelli annunciati «per amicizia» dal Luigi Genovese, figlio di Francantonio, e al netto di un “aiutino” di Raffaele Lombardo) sembrano così l’ultimo canto del cigno per l’ex deputato Angelo Attaguile, sostenuto dall’unico deputato all’Ars, Tony Rizzotto. L’ex segretario nazionale di Noi con Salvini ha strappato, con il complice consenso di Giancarlo Giorgetti, la candidatura proprio al suo ex delfino Cantarella. Che, in attesa di un seggio romano al prossimo giro, si vendica mettendo il sigillo su Tardino. E, pur non ammettendolo neanche sotto tortura, gongola anche per l’insuccesso del suo “gemello diverso” palermitano, l’ex grillino Igor Gelarda, che partiva fra i favoriti. Il poliziotto sfonda a Palermo, ma non altrove. E sembra vittima, dopo la fine dell’idillio con Candiani, della fatwa di chi comanda in Sicilia. Fino a decidere, a tavolino, elette e trombati.
Scacco matto di Miccichè
L’altro vincitore siciliano di queste elezioni è Gianfranco Miccichè. Il commissario regionale di Forza Italia riesce in un complicatissimo incastro di mosse. Prima allarga il partito ai centristi, mettendosi dentro un “ospite” scomodo come Saverio Romano, che costruisce attorno a sé una gioiosa macchina da guerra: da Raffaele Lombardo a Totò Cuffaro, passando per Pino Firrarello e Giuseppe Castiglione, fino a Roberto Lagalla. Poi Miccichè rompe, per l’esclusione dell’uscente Giovanni La Via, con il gruppo catanese di Pogliese. Tutto ciò per imporre un suo fedelissimo, Giuseppe Milazzo, come candidato «di tutto il partito».
Nella faida che ne segue, la ricerca del voto è talmente scatenata da ipotizzare un effetto-boomerang per Silvio Berlusconi, che rischiava lo sfregio di non essere il più votato. Ebbene, a Miccichè la ciambella riesce col buco: Forza Italia incassa in Sicilia il 17% (il doppio della media nazionale, ma molto inferiore a cinque anni fa, soprattutto se sommato ai dati degli altri partner oggi in lista), Berlusconi vince l’unico seggio, che andrà – a meno di colpo di scena – a Milazzo, che batte in volata Romano, ovvero «quello che voleva morto Gianfranco».
Certo, resta qualche cambiale da scontare. Miccichè ha mobilitato tutto il gotha del partito in Sicilia, con la consapevolezza che nessuno fa niente per niente. A partire dagli alleati esterni, Cateno De Luca (ottimo il risultato di Dafne Musolino, con 45mila voti, in asse con Milazzo) e Totò Cardinale. Dovrà rispondere anche a loro, così come al variopinto mondo dei centristi pro Romano. Che, al di là della sconfitta, rivendicheranno i 72mila voti portati al partito in Sicilia. Non con Miccichè, ma con Berlusconi.
Fdi, scommessa vinta
La vittoria di Giorgia Meloni – Fratelli d’Italia al 7,2% nella circoscrizione (7,6% il dato siciliano), la leader eletta con 63mila voti – ha un nome e un cognome: Raffaele Stancanelli. Il senatore ha di fatto rotto con Nello Musumeci per proseguire il suo progetto conservatore-sovranista senza DiventeràBellissima. Il governatore “neutrale” esulta: «La Sicilia conferma la sua comunque fiducia largamente maggioritaria alle forze del centrodestra, le stesse con le quali, 18 mesi fa, abbiamo avviato una stagione di successi partendo dalla nostra Isola». E ha ragione: il centrodestra sfiora in Sicilia il 45%, con l’asse spostato a destra.
Ma a fare festa è il suo ex “Richelieu”. Stancanelli, con 30mila voti (tanti, ma non tantissimi) dovrebbe prendere il seggio che Meloni rifiuterà. Smentita, fino a ieri sera, la possibilità di un’ulteriore rinuncia dell’ex sindaco di Catania a favore del secondo dei non eletti: Luca Cannata, sindaco di Avola, fratello di Rossana, deputata all’Ars ancora iscritta al gruppo di Forza Italia. In attesa dell’ufficializzazione dell’ingresso pesantissimo di Pogliese, che nella notte fra domenica e lunedì era al comitato di Stancanelli a vivere, fra un arancino e una birra, il lungo spoglio.
Pd, la benefica cura Bartolo
E anche il Pd, in Sicilia, esulta. Portando a casa lo stesso numero di euro-seggi (due) di M5S e Lega. Pur distante dalle percentuali della resurrezione nazionala, il “nuovo” partito di Nicola Zingaretti rinasce dalle sue ceneri isolane con un 17%. Grazie soprattutto alle cure di Bartolo. Il medico dei migranti sfonda il tetto delle 135mila preferenze. L’hanno votato tutti: i catto-progressisti di Demos, la Cgil, alcuni signori delle tessere dem, Claudio Fava, parte della sinistra extra-Pd. E anche alcuni zingarettiani, che – fiutata l’aria – hanno abbandonato l’idea del voto secco a Michela Giuffrida (uscente, non rieletta nonostante i suoi quasi 50mila voti), tradita dalla frenesia di chi voleva mettere il cappello sulla vittoria del super favorito, spinto da un ponderoso voto d’opinione. Lo stesso che ha premiato, per la seconda volta consecutiva, la capolista Caterina Chinnici, che torna alla grande nel Parlamento Ue con 112mila voti. Parte dei quali rivendicati dai big del partito: Peppino Lupo e Davide Faraone a Palermo, ma soprattutto Luca Sammartino a Catania, con un voto secco (a tappeto) per la magistrata.
Bartolo-Chinnici, gli eletti con cui il Pd «porta in Europa la Sicilia della solidarietà e della legalità», esulta Faraone. Che incassa una polizza sulla vita. Della sua segreteria regionale, oggi più forte nel clima da volemose bene.
Twitter: @MarioBarresi
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