Catania
Catania, un motorino smantellato dentro le Terme Romane
Catania – Il grazioso mercatino “A fera bio”, che si svolge nella mattinata di ogni seconda domenica del mese negli spazi esterni del monastero dei Benedettini di piazza Dante, attira numerosi catanesi e turisti, molti dei quali entrano per acquistare i prodotti in vendita e non solo. Qualcuno, infatti, si mostra interessato pure alla conoscenza del luogo e si spinge oltre le bancarelle, ne approfitta per vedere da vicino le lave dell’eruzione del 1669 che danneggiarono l’ala occidentale del cenobio dei monaci cistercensi.
Lasciata l’area pulita e ordinata dove si svolge il mercatino, però la situazione cambia da così a così, purtroppo in peggio. Uno dei cestini dei rifiuti del marciapiede che costeggia l’ingresso alle aule è stato divelto da qualche incivile e giace per terra, svuotato dei rifiuti. I bagni, già alle 11,30, versano in uno stato di precaria igienicità: sporcizia ovunque, due gabinetti su tre per signora praticamente inutilizzabili. Si torna all’esterno e, svoltato l’angolo, davanti al visitatore si staglia una muraglia basaltica alta più di una dozzina di metri: sono le lave della devastante colata che, tre secoli e mezzo fa, dai Monti Rossi, raggiunsero e distrussero parzialmente la parte occidentale della città di Catania. Qui, tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1669, le mura cittadine cedettero all’urto della lava nel tratto compreso tra il Bastione degli Infetti e quello del Tindaro, un nuovo afflusso di lava si sovrappose ai precedenti e causò uno squarcio di una cinquantina di metri: la lava riuscì a penetrare e ad avanzare verso la chiesa e il monastero di San Nicolò l’Arena, s’addossò alle loro possenti mura, che furono travolte ma non distrutte del tutto e sono ancora oggi visibili, mentre una lingua di lava s’infiltrò all’interno dell’edificio invadendone le cucine. Ebbene, al visitatore non è data alcuna informazione storico-naturalistica di ciò che vede, perché non sono mai stati apposti dall’Università cartelli in italiano né in altre lingue straniere, come sarebbe opportuno fare visto che il complesso monastico è quotidianamente frequentato sì da studenti, ma pure da turisti.
A peggiorare il contesto, bisogna aggiungere pure il desolante stato di degrado e di abbandono in cui versa l’intera ala occidentale dell’edificio, dove alligna spazzatura di ogni tipo alla base del costone roccioso lavico, nell’ultimo tratto giacciono per terra, ammassati disordinatamente le une sugli altri, basole e pilastrini lavici, contenitori in pietra a sezione circolare, frammenti metallici arrugginiti, plastica, un cestino della spazzatura rotto e, infine, tubi con cavi elettrici (?) che dall’alto penetrano nel sottostante edificio, la cui scala di accesso è illuminata pur essendo in pieno giorno. Per non dire della presenza di un furgoncino parcheggiato da chissà chi e quando.
All’esterno del monastero benedettino, tra i ruderi delle Terme di epoca romana, non poteva mancare la sorpresa (si fa per dire) finale. I marciapiedi sono tutti impercorribili per le auto lasciate in sosta e di vigili urbani neppure l’ombra, figurarsi. Il sito è insolitamente pulito (ma forse è meglio dire che vi è meno spazzatura del solito) e la vegetazione spontanea non ha raggiunto sviluppi tali da occultare il balneum romano, che peraltro andrebbe meglio segnalato con apposita segnaletica turistica. A deturparlo, però, è la presenza di una piccola moto (giocattoloo vera?) scaraventata nottetempo da incivili rimasti ignoti. È proprio vero che, in questa irredimibile città, al peggio non vi è fine.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA