L'EDITORIALE
C’è il coronavirus, risorgeremo ma dobbiamo farlo bene
Il successore di Pietro che da solo riempie piazza, basilica e cuori. Le bare caricate sui camion dell’esercito nella prima linea bergamasca di questa guerra. Lo spazio aereo vuoto, a simboleggiare l’isolamento nel proprio cortile senza un altrove dove potere realizzare ambizioni e sogni. Le fabbriche (laddove esistono) chiuse, come anche i ritrovi. Le code per il pacco con la spesa, assembramento dettato dalla fame e non controllato dal senso di responsabilità, almeno da questo. Il bambino che prepara la valigia, “basta mamma, usciamo”. Nell’album di questi giorni che non avremmo mai immaginato di vivere ci sono queste e chissà quante altre istantanee.
Arriva Pasqua e mai come questa volta attendiamo la resurrezione, una resurrezione laica, il ritorno – un passo alla volta – alla normalità, se normale è una società che dimentica doveri e che reclama solo diritti, magari senza averne titolo, che asseconda demagoghi di ogni risma, politicanti, contabili scambiati per statisti, che subisce i tagli alla sanità, che cerca scorciatoie, che riscopre il piacere di stare a tavola tutti insieme solo perché fuori non è tempo di apericena o di bivacco in piazze diverse eppure tutte uguali, che ha bisogno di un nemico – fosse pure un povero disgraziato sbattuto dalle onde in mare aperto – per stare bene, che soffre di una grave immunodeficienza, avendo perso l’anticorpo della solidarietà e del valore di essere comunità. Eravamo più o meno inconsapevolmente malati ed è servita questa dannazione di un virus subdolo e sconosciuto per ricordarcelo.
La penitenza di questi giorni, allora, avrà un senso intanto se sapremo rispettare i divieti che con sinistra e puntuale cadenza quindicinale sono stati allungati in base al raziocinio scientifico che ha consigliato al governo di spostare sempre un po’ più in là lo striscione del traguardo.
Avrà poi un senso, questa penitenza, se già adesso ci prepariamo a vivere in maniera più consapevole la complessità di un mondo speriamo (di nuovo) senza barriere e se chi è deputato a farlo predisporrà le misure per fare ripartire l’economia, che da noi ha tante, troppe zone grigie, in cui l’illegalità, il “nero” è sostanzialmente il vero business plan. Non a caso a queste latitudini e in certi contesti di marginalità riesce davvero difficile accapigliarsi sulla differenza tra eurobond e Mes.
L’Uomo ce l’ha sempre fatta a darsi un futuro, che per essere tale non deve esaurirsi in un poderoso rimbalzo in Borsa o nel fiutare nuove praterie speculative. Serve realizzare l’infrastruttura immateriale di una maggiore equità sociale, per provare ad accorciare le distanze anche di questi lunghi giorni, tra il #restareacasa di chi fa yoga in giardino e sceglie tra un libro e una serie su Netflix e chi convive in pochi metri quadri, tinello, letto e tavolo, tutto a vista. Non è indulgere al pauperismo, è provare almeno a ricordarsi dove nascono certe devianze, le stesse per le quali diciamo di strapparci i capelli, forse, chissà.
Dobbiamo risorgere, ma dobbiamo risorgere bene e “prenderemo a carezze i nostri giorni”, come oggi cantano i Nomadi e Paolo Belli e come un domani vorremmo tornare a fare. Insieme o da soli, quando ci sarà data la possibilità di “scegliere” se stare insieme o da soli.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA