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La fabbrica dei colori di Gioacchino Pennisi, il pescatore emigrato simbolo di una generazione

Di Maria Lombardo |

Gioacchino Pennisi emigrato in Argentina dalla Sicilia distrutta e poverissima del secondo dopoguerra, morto due settimane fa a Mar del Plata a quasi 90 anni (li avrebbe compiuti il 30 agosto) ha incarnato l’epopea di una generazione. Emigrò in Argentina da Santa Maria La Scala, paese di pescatori vicino Acireale, per andare a fare il pescatore oltreoceano. Epopea di una generazione di italiani costretti a lasciare il Paese e a cercare all’estero un lavoro. La storia di Gioacchino Pennisi è stata immortalata in un libro di qualche anno fa del figlio Roberto (il più giovane dei cinque figli di Gioacchino) :“Gioacchino y su fabbrica de colores”. Pennisi era partito a 18 anni da Santa Maria La Scala borgo di pescatori vicino Acireale dove era nato nel 1930 maggiore di sette fratelli. Sbarcato in Argentina trovò nella costa a sud di Buenos Aires l’ambiente adatto per mettere in atto la sua pratica con la pesca. A Mar del Plata che allora era un piccolo villaggio, dopo anni di fatica imbarcato sui pescherecci nel pescoso Atlantico meridionale, aveva fatto fortuna riuscendo a mettersi in proprio e a fondare una propria impresa, “Conservas Pennisi”, una delle principali aziende di conservazione del pescato dell’Argentina, oggi diretta dai figli. Quattro dei fratelli di Gioacchino tutti pescatori, viventi, sono a Santa Maria La Scala (Carmelina, Giuseppe, Orazio, Salvatore) e altri due sono emigrati come lui: Sebastiano in Australia e Lucia in Argentina.

Gioacchino ha portato in alto il nome della Sicilia e di Santa Maria La Scala. “Anche se stiamo vivendo questo periodo così strano – dice il figlio Roberto – di mio padre si continuerà a parlare tramite libri e video per la sua storia di vita semplice, di perseveranza e di lotta. Noi discendenti siamo fieri di lui e di quanti come lui hanno dimostrato la capacità dei siciliani e degli italiani di farsi valere col proprio lavoro e lo spirito d’iniziativa. Porteremo sempre in alto questo stile di vita, questa bandiera siciliana che abbiamo nel sangue. Adesso tocca a noi continuare”. Scarso pescato, prole numerosa, povertà del dopoguerra, nessuna prospettiva per il futuro fecero muovere mezza Santa Maria La Scala verso l’altra sponda dell’oceano col risultato che quella degli scaloti, fra gli altri italiani (ischitani, pugliesi, marchigiani) ma anche fra portoghesi, spagnoli, belgi, russi e persino giapponesi è la comunità più numerosa fra le tante di Mar del Plata (famiglie con in media sei figli) e il villaggio a sua volta è divenuto città di 650 mila abitanti, grazie alla pesca e al lavoro degli emigrati.

Gioacchino Pennisi e i suoi fratelli

Roberto Pennisi l’abbiamo incontrato ad Acireale l’estate scorsa col suo ultimo libro fresco di stampa “Capitanes contra viento y marea”. Al tema dell’emigrazione e delle radici Roberto, che è nato in Argentina ma ha acquistato di recente una casa ad Acireale dove torna almeno una volta l’anno, ha dedicato in precedenza i libri “Italianos en el puerto” e appunto “Gioacchino y la fabrica de colores” favola con disegni, omaggio a suo padre (venuto in Sicilia l’ultima volta nel 2017 proprio per la presentazione del volume tenutasi all’Accademia Zelantea).

Fra le altre famiglie che hanno fatto fortuna in Argentina i Valastro partiti da Acitrezza che hanno creato a Mar del Plata un cantiere navale di pescherecci adatti a reggere le onde dell’oceano che vendono in tutto il mondo. “Gioacchino e la fabbrica dei colori” è un’opera intima e personale. Un’insegnante di origine italiana, Emilia Leo, vi ha collaborato con i suoi 200 alunni delle scuole secondarie di Mar del Plata. E il libro è distribuito nelle scuole in Argentina affinché non si perda la memoria degli italiani arrivati poveri che hanno fatto fortuna con la forza delle loro braccia come unica risorsa. “Vi sono presenti – dice Roberto Pennisi – i miei antenati, la mia famiglia, il mio lavoro, il mio quartiere, il mio club, le persone che sono state il modello da seguire e la mia fede. Spero che il libro aiuti il lavoro di maestri e professori nel raccontare ai propri alunni quanto meraviglioso, significativo e pieno possa essere il passaggio in questa vita della gente semplice. Proprio come lo è stato quello di mio papà”. L’idea contenuta nel libro è stata sviluppata in dieci documentari (di circa venticinque minuti ciascuno), realizzati dal fotografo e regista acese Marcello Trovato che ne ha realizzato un altro per presentare “Capitanes contra viento y marea” dal quale è stato ricavata la sceneggiatura per un film in corso di preparazione.

A Gioacchino Pennisi e a tre suoi fratelli fu tributato nel 2017 un doveroso omaggio esteso a tutti i pescatori scaloti d’Argentina. Una comunità, quella “scalota”, che oggi ha raggiunto circa tremila unità e che si è ricavata in Argentina una posizione sociale ed economica di rilievo. E dire che i genitori raccomandarono a Gioacchino diciottenne quando lasciò la poverissima Santa Maria La Scala “Figghiu miu a stari accura, ca ddà u mari è sarvaggiu”. Roberto Pennisi quando è venuto ad Acireale ha sollecitato alle autorità la creazione di un museo del mare e dell’emigrazione. “A Mar del Plata c’è – dice Roberto – e pensare che la Piazza Duomo di Acireale è persino riprodotta in un murale. Acireale è pure gemellata con Mar del Plata dal 1997 ma nessun cartello lo ricorda a turisti e visitatori”.

Gli oriundi scaloti oggi, pur legati alle radici, si sentono argentini per gratitudine verso il Paese che li ha accolti. “Estoy feliz, estoy contento, ringrazio Argentina”, “Me siento argentino fino alla muerte” dicono nei video girati da Marcello Trovato alcuni emigrati che parlano mezzo siciliano mezzo spagnolo. “Persona solare e allegra anche a tarda età” così lo ricorda Marcello Trovato che è stato a Mar del Plata l’autunno scorso per l’inizio di lavorazione del film ed è stato ospite a casa di Gioacchino.

Roberto Pennisi e Marcello Trovato a Mar del Plata

“Cantava canzoni siciliane come “Emigrante” e conosceva a memoria brani di cantastorie come Orazio Strano. Una sera siamo rimasti a parlare, mi raccontava dell’esperienza della fame quando non c’era alternativa all’emigrazione. “Non è che venissimo trattati bene appena arrivati – mi diceva – ma hanno cominciato a rispettarci quando abbiamo messo su l’economia locale”. Mi raccontava – continua Marcello Trovato – delle sue emozioni più personali, della moglie morta ancor giovane. Certe sofferenze me le esprimeva in “cocoliche” (lingua mista, denominata così dagli argentini, fatta di espressioni spagnole e di struttura morfosintattica dei dialetti italiani n.d.r.) e altre in siciliano”. Giocchino se n’è andato ma lascia un segno importante del lavoro degli italiani all’estero.

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