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Teatroimpulso, “Il panico” di Spregelburd apre la stagione

Di Redazione |

Catania – Il primo spettacolo della nuova stagione prodotta da Teatroimpulso è: “Il panico” del drammaturgo argentino contemporaneo Rafael Spregelburd. Il testo è tratto dall’Eptalogia di Hieronymus Bosch, una raccolta di opere ispirata alla tavola dei sette peccati capitali del pittore. Lo spettacolo sarà in scena a Teatroimpulso in via Giovanni Gentile a Catania dal 27 febbraio all’uno marzo. Spregelburd scrive: “Il panico per me è la traduzione moderna del peccato dell’accidia, inteso nel significato che gli dava la Chiesa antica. L’accidioso ai tempi non era un fannullone, ma un poveraccio che non era in grado di leggere una Bibbia scritta in latino. E quindi si doveva affidare ai traduttori accreditati, i sacerdoti, che la usavano come strumento di dominio e indottrinamento, da padroni unici della Verità. Il panico è il potere esercitato attraverso la paura”.

Il regista Mario Guarneri ci presenta l’opera così: “La vicenda parte dalla storia ipoteticamente narrata nel Libro dei morti che racconta della chiave nascosta da un dio egizio in grado di spalancare quella porta che divide il regno dei vivi da quello dei morti. Ma i nostri personaggi sono uomini e questa chiave si trasforma in una più materialistica ricerca della chiave della cassetta di sicurezza che una disperata vedova cerca dopo la morte del marito. Nell’opera ci sono tante storie che si intersecano: un’agente immobiliare che non riesce a vendere, una direttrice di banca smemorata, una madre che non fa il suo ruolo, un giovane alla ricerca della sua identità sessuale, uno psicoterapeuta non molto professionale, una sensitiva incompresa, una coreografa e le sue ballerine in cerca dell’ispirazione e poi una segretaria sottomessa, un’amante sospettata pluriomicida e un’agente penitenziaria fifona. Quindici personaggi in scena in una parodia della nostra vita, calati nella ristrettezza economica della crisi argentina. C’è tanto, anzi tantissimo materiale da confondere lo spettatore, in barba all’essenzialità del teatro. Ma è proprio questo l’effetto voluto, l’uomo che non riesce a leggere la sua vita.

La sensitiva Susana Lastri, uno dei personaggi dell’opera, dice: “Ai morti tolgono la memoria e il desiderio. È questo vuoto la morte: non ricordare più niente e non volere più niente. Così riescono a sopportare l’infinito”. Ma anche se la morte è il tema principale, nella trama non si affronta, anzi, ogni accenno passa in secondo piano senza che i personaggi vi diano importanza. La scena è un labirinto dove c’è solo l’ingresso. I personaggi non hanno la chiave che gli faccia vedere tutto con chiarezza o che, semplicemente, apra la porta della connessione con l’altro, ma cercano la chiave sbagliata. Vivono il dettaglio perdendo la visione d’insieme. Non pensano neanche che possono arrampicarsi sui muri di questo labirinto per guardare dall’alto, per guardare oltre. O forse in realtà non vogliono veramente avere una visione chiara perché questo genererebbe Il panico.

La nostra vita è organizzata secondo la teoria del caos, cerchiamo in ogni modo di guidarla, ma basta il semplice battito di ali di una farfalla per portarci a una meta completamente opposta a quella perseguita. I personaggi si agitano come pulcini nella stoppa. E forse anche noi avremmo bisogno di qualcuno che ogni tanto ci dicesse: “Memento mori”. Le attività che si svolgono nell’opera sono senza senso, proprio come nella vita. Se i morti non sanno di essere morti, siamo sicuri di essere vivi?”COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA