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Regione siciliana, la brusca frenata sul (pericoloso) “rimpastone”

Di Mario Barresi |

CATANIA – «Ma come ci potevo restare io, democristiano, lì dentro? Quelli sono una caserma! Parla solo il milanese. E tutti gli altri devono stare zitti…». Nello sfogo di Giovanni Bulla, moderato (di più: mite democristiano) per indole, prima che per formazione politica, c’è la dimostrazione scientifico-antropologica che quella di Matteo Salvini in Sicilia non è una macchina da guerra gioiosa. Né, tanto meno, perfetta.

Torna a casa, Bulla. Da «quelli» (la Lega) al suo vecchio-nuovo partito: l’Udc. Dagli squali verdi alla più rassicurante pancia dei balenotteri bianchi. Mercoledì sera, dopo i conciliaboli con Raffaele Lombardo (che, raccontano, gli avrebbe consigliato «la scelta più giusta per te»), il deputato regionale di Adrano va a riconsegnarsi agli amici. Accompagnato da Giovanni Pistorio (che si autodefinisce «fuori da ogni cosa», anche se un animale politico non va mai in letargo) è ricevuto a Palermo dall’assessore Mimmo Turano. Che gli dà subito il bentornato in famiglia, prima dei comunicati stampa di rito. «Non rinnego l’esperienza nella Lega – scrive Bulla – ma si tratta di un mondo troppo lontano dalla mia cultura politica». Il “welcome back party” è completato dal segretario nazionale Lorenzo Cesa («molto orgoglioso» del ritorno), dal coordinatore regionale Decio Terrana («mai chiusa la porta al suo gradito ritorno») e dalla capogruppo all’Ars, Eleonora Lo Curto («estremamente soddisfatta» e igià mmemore «della temporanea permanenza nella Lega»).

Il lieto fine viene ufficializzato proprio nel giorno in cui si decide di rinviare il vertice del centrodestra sul rimpasto in giunta, in programma oggi. A martedì prossimo, «o forse a data da destinarsi». C’è un nesso fra le due cose? Sì, ma solo in parte. L’uscita di Bulla riduce il gruppo della Lega a tre deputati. Ma, paradossalmente, frena (o rinvia) un altro addio: quello di Marianna Caronia. Che, assieme allo stesso Bulla, e ad altri due deputati con cui condivide la statura (fisica), ovvero l’ambizioso autonomista Carmelo Pullara e l’ex dem Luisa Lantieri, nel corso della finanziaria avevano costituito una sorta di “intergruppo” trasversale che sarebbe potuto diventare anche qualcosa di più. Caronia resta, per ora, con gli altri due leghistis: il capogruppo Antonio Catalfamo (che, nonostante rivestisse fino a pochi mesi fa la stessa carica in FdI, si muove ormai come un habitué del rito dell’ampolla a Pontida) e Orazio Ragusa, indicato come gradito assessore “interno”, benché il segretario regionale Stefano Candiani – «il milanese» di bullesca memoria, anche se poi è del Varesotto – abbia più volte esplicitato che «il nostro uomo in giunta non dev’essere un deputato».

Ecco, ripartiamo proprio dal rimpasto. L’indebolimento numerico del gruppo della Lega rafforza i desiderata dei deputati e le ambizioni dell’ibleo Ragusa, sostenute dal deputato nazionale (modicano) Nino Minardo. Ma non scalfisce il potere contrattuale dei salviniani con Nello Musumeci. «Il posto gliel’ha promesso a Matteo e a Stefano e ce lo darà anche se dovessimo restare in due», è il rassicurante mantra dello spogliatoio leghista.

Si fa presto a dire rimpasto. A questo punto, più che le micro-scosse all’Ars, pesa enormemente il lodo “muratori a casa”. Una geniale pensata di Gianfranco Miccichè, che ha fatto sapere agli alleati che «da domani mi ritiro un paio di giorni in campagna», facendo slittare – anche per la concomitante impossibilità di Candiani di «saltare su un aereo all’ultimo minuto» (i padani si organizzano per tempo) – il vertice. «Se Nello vuole soltanto affidare il suo interim ai Beni culturali a qualcuno – sostiene il leader forzista – basta che ci dica chi è, e la cosa si chiude senza nemmeno sederci». E questa sarebbe l’opzione “cambiamo la guarnizione del rubinetto”. Ma «se dobbiamo metterci i muratori in casa», ha fatto sapere Miccichè a molti alleati (qualcuno dei quali l’ha già riferito al governatore), «sappiate che si sa quando entrano e non si sa quando escono, né che tipo di lavori ci vogliono e quanto costano». Una tabula rasa, insomma. In cui tutti gli assessori, in teoria, sarebbero in discussione. Compreso Gaetano Armao, il primo a cui il presidente dell’Ars (anche confidando in una bocciatura, o quanto meno in uno smontaggio, della finanziaria a Roma) pensa come casuale vittima di incidente sul lavoro; nel cantiere aperto in casa.

Perciò da ora risalgono le quotazioni del rimpasto senza rimpasto: se la Lega (che punta all’Agricoltura) si accontentasse dei Beni culturali non ci sarebbe bisogno di rompere gli equilibri. Più improbabile, anche se fino a qualche giorno ipotizzabile, un’altra soluzione per evitare la lotteria del turn over: se Armao accettasse di lasciare l’Economia, per salvare comunque un posto in giunta che altrimenti potrebbe essere a rischio, tornando al suo vecchio assessorato ai Beni culturali, Forza Italia sarebbe pronta a cedere l’Agricoltura alla Lega. Le deleghe economiche potrebbero andare a Riccardo Savona, il “Tremonti di Miccichè”, lasciando la prestigiosa presidenza della commissione Bilancio all’autonomista Roberto Di Mauro, che a sua volta libererebbe lo scranno di vicepresidente dell’Ars, potenziale premio di consolazione per qualche altro alleato. Ma questa seconda opzione “rimpasto free” si scontra con il netto rifiuto di Armao, che sulla manovra ha avuto il pieno sostegno del governatore, a un declassamento che lo vedrebbe passare dalla gestione della cassaforte della Regione agli scavi archeologici di Gela.

E se ci fosse davvero il rimpastone? «Ci sarebbe da divertirsi», confidano i falchi forzisti, rintuzzati da Toto Cordaro – assessore centrista per definizione, pretoriano di Musumeci per dedizione – che derubrica il turn over a «una questione interna a Forza Italia». Eppure, a origliare quello che è già in movimento, lo scenario non sembra così minimalista. Se a Palazzo d’Orléans dovessero davvero entrare calce e martello, i lavori in corso sarebbero complicati. Al di là della potente resilienza di Armao, le poltrone al sicuro si conterebbero sulle dita di una mano. Quella di Ruggero Razza, intoccabile per postulato, alla Salute, forse quella di Roberto Lagalla, “fuoriquota” alla Formazione e di pochissimi altri. Neanche lo stesso iper-musumeciano Cordaro (entrato in quota Cantiere Popolare di Saverio Romano, con cui c’è freddezza da tempo) sarebbe protetto, perché gli manca un’ancora all’Ars. Dopo che lo stesso governatore gli ha sconsigliato l’adesione a DiventeràBellissima, già rappresentata in giunta da Razza, un atterraggio morbido potrebbe essere nel “gruppo dei razzisti” (non nel senso comportamentale, ma di Ruggero) di Ora Sicilia, che così avrebbero il loro assessore, risolvendo «un problema» che gli alleati scaricano al giovane spin doctor di Nello. Chissà che ne pensano Pippo Gennuso e Luigi Genovese, però.Turano non avrebbe più il Territorio e ambiente, reclamato da Forza Italia con Miccichè che prenderebbe due piccioni con una fava: sperimentare sul campo la rivoluzione anti-burocrazia in un settore ad altissimo tasso di autorizzazioni e saldare il debito con i forzisti agrigentini, i quali (più che Riccardo Gallo) incoronerebbero il non più giovane ma sempre rampante Vincenzo Giambrone, sindaco di Cammarata a fine mandato. Bernardette Grasso resterebbe in giunta, traslocando ai Beni culturali e magari lasciando le Autonomie locali allo stesso Turano. Marco Falcone sarebbe fra i pochi confermati, mantenendo i Trasporti, forte anche del rating positivo di cui gode in Presidenza. In uscita, in questo contesto, Edy Bandiera, nonostante i tanti appelli spontanei nel settore (comprese le sorelle Napoli) affinché rimanga. Se c’è il rimpasto, la Lega vuole l’Agricoltura. Senza remissioni.

Il ritorno di Bulla rafforza l’Udc (che salverebbe il doppio assessore) e anche il tessitore Turano (che salverebbe il posto alle Attività produttive), e così fra i centristi diventa a rischio Alberto Pierobon. Il tecnico veneto dei Rifiuti, infatti, potrebbe essere sacrificato per dare un posto alla sempre più potente corrente di Cateno De Luca, in simbiosi col gemello siamese Vincenzo Figuccia. Il sindaco di Messina ha risposto alle lusinghe di Salvini («seguo il suo percorso con attenzione, mi piacciono le persone che non hanno paura o schifo ad andare nei quartieri popolari tra la gente») dicendo che «non ho l’età per fare il governatore». Commento malizioso dal fortino di Musumeci: «Ma chi gliel’aveva chiesto?». Con un certo fastidio per l’endorsement del leader, promesso alleato, a Scateno. Che, anche per l’incertezza di doversi dimettere nel 2021 per inseguire una candidatura che per ora gli hanno fatto soltanto odorare, vola basso. E si accontenterebbe, d’accordo anche con Miccichè che se lo coccola, di piazzare un suo assessore in quota Udc: Dafne Musolino, candidata di servizio (a Gianfranco) alle Europee, decisiva per la vittoria di Giuseppe Milazzo. La “quota rosa” dell’emergente De Luca polverizzerebbe le ambizioni di Margherita La Rocca Ruvolo, che studia da assessora già da un po’, e anche quelle – intime, ma più flebili – del coordinatore regionale Terrana.

Antonio Scavone resterebbe al Lavoro (pur non disdegnando i Beni culturali), rafforzato dalla fiducia di Musumeci, che ieri l’ha ostentata anche per lanciare un messaggio a Lombardo, uno dei pochi alleati ritenuto in questo momento leale. La forza dell’assessore lombardiano, tutt’altro che «stupidotto» come s’è autodefinito ieri, è incrementata anche dall’ingresso fra gli autonomisti dell’ex senatore Nino Papania, che porta in dote una cinquantina di amministratori locali. E altrettanto garantita sarebbe, infine, la conferma di Manlio Messina: pur non essendo fra gli “affetti stabili” di Musumeci, il lockdown sul Turismo è bollinato da Giorgia Meloni in persona.

Ecco, potrebbe succedere tutto questo (e molto altro ancora) se entrassero i muratori a casa. A meno che, nella casa del governo Musumeci, ci si rassegni a qualche muro scrostato e a quel rubinetto che perde. Rinviando il tagliando di metà legislatura. A tempi migliori. Magari con qualche “diversamente grillino” ad affiancare il governatore nella guerra fra bande del centrodestra.

Twitter: @MarioBarresi

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