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Coronavirus: perché scuole non amplificano contagio, analisi su Nature

Di Redazione |

Roma, 2 nov. (Adnkronos Salute) – Mentre in Italia ci si prepara a un’estensione della didattica a distanza, un’analisi su ‘Nature’ spiega – mettendo insieme diversi studi e dati provenienti anche dall’Italia – perché le scuole non sono ‘punti caldi’ per la diffusione di Covid-19. E’ improbabile che i bambini piccoli diffondano il virus, ma i bambini più grandi sono più a rischio, affermano i ricercatori.

I dati raccolti in tutto il mondo “suggeriscono che le scuole non siano punti caldi per le infezioni da coronavirus. Nonostante i timori, le infezioni da Covid-19 non sono aumentate quando scuole e asili nido hanno riaperto. E quando si verificano focolai, per lo più provocano solo un piccolo numero positivi”. Tuttavia, la ricerca mostra anche che i bambini possono contrarre il virus e diffondere particelle virali, e i più grandi hanno maggiori probabilità rispetto ai bimbi molto piccoli di trasmetterlo ad altri. Se scuole e asili nido sembrerebbero fornire un ambiente ideale per la trasmissione del coronavirus con grandi gruppi al chiuso per lunghi periodi di tempo, secondo Walter Haas, epidemiologo di malattie infettive presso il Robert Koch Institute di Berlino, a livello globale le infezioni sono ancora molto più basse tra i bambini che tra gli adulti.

Anche nei luoghi in cui le infezioni a livello di comunità sono in aumento, i focolai nelle scuole sono rari, in particolare quando vengono adottate precauzioni per ridurre la trasmissione. “Più di 65.000 scuole in Italia hanno riaperto a settembre – si legge su Nature – ma solo 1.212 strutture avevano sperimentato focolai 4 settimane dopo. Nel 93% dei casi è stata segnalata una sola infezione e solo una scuola superiore aveva un cluster di oltre 10 persone infette”.

Nello stato di Victoria, in Australia, dove a luglio si è verificata una seconda ondata di infezioni, le grandi epidemie legate a scuole e asili nido sono state rare, sebbene le scuole fossero solo parzialmente aperte. Due terzi delle 1.635 infezioni nelle scuole erano limitate a un singolo caso e il 91% riguardava meno di 10 persone. Negli Stati Uniti però la trasmissione è rimasta elevata in molti luoghi quando le scuole hanno iniziato a riaprire ad agosto e la percentuale di infezioni nei bambini ha continuato a salire, afferma Ashlesha Kaushik, pediatra di Sioux City, Iowa, e portavoce dell’American Academy of Pediatrics.

Ma non è chiaro quanto spesso i focolai che hanno origine nelle scuole contribuiscano alla trasmissione della comunità, afferma Kaushik. I dati sulle epidemie scolastiche in Inghilterra hanno poi dimostrato che gli adulti sono stati spesso i primi a essere contagiati. La maggior parte delle 30 epidemie scolastiche confermate a giugno riguardava la trasmissione tra i membri del personale e solo 2 presentavano una trasmissione da studente a studente.

I ricercatori sospettano che uno dei motivi per cui le scuole non sono diventate punti caldi della trasmissione è che i bambini, specialmente quelli sotto i 12-14 anni, sono meno suscettibili alle infezioni rispetto agli adulti, secondo una meta-analisi di diversi studi sulla prevalenza del virus. E una volta infettati, i bambini piccoli tra 0 e 5 anni hanno meno probabilità di trasmettere il virus ad altri, dice Haas. Il suo team ha scoperto che le infezioni erano meno comuni anche nei bambini tra 6 e 10 anni rispetto ai più grandi e al personale scolastico. Insomma, “il potenziale di trasmissione aumenta” con l’età e gli adolescenti hanno la stessa probabilità di trasmettere il virus degli adulti, dice l’esperto. Adolescenti e insegnanti dovrebbero essere protagonisti di misure di mitigazione, come indossare mascherine o tornare alla didattica a distanza quando la trasmissione nella comunità è alta, conclude Haas.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA