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Zes, Provenzano: «E ora vorrei una Sicilia di straordinaria normalità»

Di Mario Barresi |

Ministro Peppe Provenzano, ha appena firmato l’istituzione delle Zes siciliane. Visti i tanti annunci del passato, ci permetta il beneficio del dubbio. Stavolta è tutto vero?

«È una di quelle firme che danno senso agli incarichi che si ricoprono. Da anni la Sicilia aspettava le Zone economiche speciali. Ora le abbiamo istituite, recuperando un ritardo iniziale fortissimo. Oggi (ieri per chi legge, ndr) licenziamo ben due Zes, una per la Sicilia occidentale e una per quella orientale. Dobbiamo rendere la Sicilia non solo attraente, bellissima com’è, ma anche attrattiva, di capitali, persone, nuove idee di sviluppo».

Qual è l’impatto concreto delle Zes? Cosa cambia e dove?

«Stiamo parlando di circa 5.600 ettari di territorio siciliano, con molti comuni interessati. Lo strumento consente di godere di una drastica semplificazione, con uno sportello amministrativo unico per le imprese, ma anche di forti incentivi fiscali per l’attrazione degli investimenti».

Le Zes sono oasi di fiscalità di vantaggio. Un tema che fu cavallo di battaglia dell’autonomismo di Lombardo e che Renzi, nel suo libro, ha rilanciato per Sicilia e Sardegna. Qual modello di fiscalità speciale ha in testa lei?

«Per la verità, senza nulla togliere alle fatiche letterarie di Renzi, ne ha parlato Panetta, membro del board della Bce. E ne avevo parlato anch’io e il presidente Conte. È un tema di cui si discute da decenni, ma che proviamo a inserire nel piano di rilancio del Paese, perché si apre una finestra di opportunità in Europa, che in questo momento straordinario deve far pensare a strumenti straordinari».

Non c’è il rischio che la fiscalità di vantaggio annacqui le Zes?

«Le Zes, rispetto alla fiscalità di vantaggio che deve riguardare tutto il Mezzogiorno, hanno un elemento in più. E possono accompagnare la transizione ecologica ed energetica di diversi siti produttivi, e rilanciare la logistica: un’Isola in mezzo al Mediterraneo deve pensare non soltanto a uno sviluppo turistico, ma anche a una nuova industrializzazione. Nelle Zes c’è Gela, con la bioraffineria, ma anche Termini Imerese, con un polo per il quale ho chiesto ai ministri Patuanelli e Manfredi di immaginare una strategia di innovazione industriale, sul modello del polo automotive di Torino»

Insomma, ci può stare dentro di tutto. E pensare che le Zes nacquero come strumento poco più che portuale…

«Anche le Zes siciliane, come le altre, dovevano concentrarsi sulle aree portuali e retroportuali. Sono state allargate un po’ troppo, una scelta delle Regioni discutibile ma che ora abbiamo il dovere di trasformare in una opportunità di sviluppo regionale. E io stesso mi sono permesso di suggerire alla Regione, che deve farne richiesta, di inserire anche le isole minori che vivono una grande difficoltà, a partire da Lampedusa, il cui porto è famoso in tutto il mondo. Perché non volgerlo anche allo sviluppo?».

Dopo la sua firma, ora cosa manca?

«Dobbiamo passare dalla fase dei convegni sulle Zes alla piena operatività. Il vantaggio fiscale parte subito, sul resto manca ancora un pezzo»

E cioè?

«La nomina del commissario straordinario del governo. Noi, per ricondurre le Zes alla loro vocazione originaria di luoghi di attrazione di grandi investimenti, una politica nazionale per definizione, nella legge di bilancio abbiamo stabilito che per ogni Zes ci sia un commissario governativo che si assuma la responsabilità delle scelte, senza più veti locali».

Quindi per le Zes siciliane la prossima mossa tocca al governo nazionale.

«Purtroppo la Regione Siciliana ha sollevato un conflitto di attribuzione alla Corte costituzionale, come troppo spesso, ahimè, accade. Io ho chiesto al presidente Musumeci di ritirare il ricorso, proprio nell’ambito della leale collaborazione istituzionale che ha portato al recupero dei ritardi accumulati sulle Zes siciliane».

Ci risulta che anche sulla riprogrammazione post-Covid dei fondi strutturali della Regione c’è stato un recente incontro fra lei e Musumeci. Anche in questo caso la collaborazione sta funzionando?

«Spero si passi dalle parole ai fatti, ad oggi la Sicilia è l’unica Regione che ancora non ha predisposto l’accordo con il mio ministero per la riprogrammazione dei fondi strutturali sull’emergenza. Un’opportunità da 10 miliardi a livello nazionale, che tutte le altre Regioni hanno colto. Sarebbe un vero peccato, anche per il basso grado di assorbimento di risorse dei fondi strutturali, che questa chance non venisse sfruttata».

Ci sono delle criticità?

«Da parte del presidente Musumeci c’è stata la disponibilità a superarle. Spero diventi l’impegno di tutto il governo regionale, perché la Sicilia non può restare indietro».

Non sempre basta collaborare…

«Il tema non è la cortesia istituzionale, che ovviamente non manca. Ma produrre atti concreti per i siciliani. Per domani (oggi, ndr) mi sono fatto tramite di un incontro importante al ministero dei Trasporti con la ministra De Micheli per affrontare il tema delle infrastrutture nell’Isola, a cominciare dai voli aerei. Non possiamo permetterci di indebolire la ripresa, per quanto lenta, di una regione a vocazione turistica, che negli ultimi anni aveva mostrato una grande vitalità. Se lo spirito sarà quello con cui abbiamo risolto l’antico nodo della Ragusa-Catania, questo incontro sarà positivo»

E magari fra un po’ le capiterà di sedere a un tavolo, con Musumeci e non solo, a parlare di Ponte sullo Stretto. Chi l’avrebbe detto? Eppure, dopo l’apertura di Franceschini, anche la ministra De Micheli s’è detta pronta ad approfondire. Cos’è, un tabù sfatato a sinistra o soltanto un pour parler?

«In tutti questi anni la discussione sul Ponte è stata un’arma di distrazione di massa che ha penalizzato i siciliani, rimasti alla fine senza il Ponte e senza le infrastrutture. Adesso dobbiamo ribaltare l’approccio: partiamo dalla necessità di fare l’alta velocità di rete in tutta Italia e la Sicilia non può essere esclusa. La Messina-Catania-Palermo è finanziata e dobbiamo realizzarla. C’è un tema, di cui non si discute molto, che ho posto alla ministra: la chiusura dell’anello ferroviario siciliano, strategico anche per valorizzare le nostre coste».

Ma il tempo del “benaltrismo” sembra finito. E la discussione sull’opera, al netto della freddezza del M5S e di Leu, può avviarsi senza il “distanziamento” ideologico.

«Se la discussione non è ideologica, bisogna dirsi che è un errore far coincidere il Ponte con lo shock infrastrutturale di cui abbiamo bisogno, perché stiamo parlando comunque di un’opera per la quale bisogna fare un nuovo progetto alla luce delle novità anche tecnologiche che ci sono state, della necessità di superare un impatto ambientale che in quei luoghi ha anche un valore economico. Del Ponte si può discutere, certo, ma impegniamoci ora a sbloccare ciò che è finanziato, perché è questo che aiuta a fronteggiare l’impatto della crisi, molto forte in Sicilia come nel resto del Sud».

C’è un paradosso geopolitico per cui il Nord, più colpito in termini di contagi e vittime, potrà avere una ripartenza più rapida rispetto al Sud, graziato dalla pandemia. Se in garage, per tre mesi, restano fermi un suv e un cinquantino, non è difficile capire chi rischia di non ripartire. Tanto più che nel tanto sbandierato piano Colao non è che ci sia tanto Sud…

«Allo scoppio della pandemia l’ho detto all’intero governo: benché l’impatto sia maggiore al Centro-Nord, al Sud si somma a fragilità strutturali e ferite non sanate della crisi precedente. E per questo ho posto, e non è stato semplice, l’attenzione sul Mezzogiorno anche in questi passaggi, tra decreto Cura e decreto Rilancio, con numerose misure. Ora, alla discussione sulla ripartenza noi arriviamo con un vantaggio: il piano Colao è un contributo, ma ricordo a tutti, come ha detto lo stesso presidente Conte ai sindacati, che noi abbiamo presentato una settimana prima della pandemia il Piano Sud 2030, che è ancora attuale e anzi va attuato con maggiore urgenza».

E quel Piano è anche un possibile vaccino per le conseguenze economiche del virus al Sud?

«Quel Piano è stato anche l’argine che ha impedito quello che è accaduto in tutte le crisi precedenti e cioè che le misure anticongiunturali venissero finanziate con risorse di investimento destinate al Sud e dirottate altrove. Per la prima volta il Sud non ha pagato questa crisi, lo rivendico. Ora bisogna metterlo al centro della ripartenza».

Significa remare ancor più controcorrente, ce la faremo davvero?

«Alla luce del Recovery Fund e del Piano Sud, il tema non è più la disponibilità di risorse, ma una vera progettualità per il Sud. Il governo deve fare la sua parte fino in fondo, ma ognuno deve assumersi la responsabilità: la Regione ha competenze importanti, che peraltro rivendica gelosamente. Mentre gli enti locali vanno supportati con risorse umane e reclutamento di nuove competenze. Per realizzare questi investimenti dobbiamo rafforzare la macchina pubblica, ringiovanendola, eliminare gli sprechi e semplificare».

Insomma, la nostra, talvolta ostentata, specialità non ci servirà se non riusciremo a esserne all’altezza.

«Oggi festeggiamo le Zone speciali, ma credo che la Sicilia debba ambire non a continue richieste di specialità, di eccezionalità e di emergenza. Deve ambire alla normalità. Una normalità nello spendere bene e in tempo i fondi europei, nell’avere infrastrutture degne del 2020 e un livello di servizi in linea col resto del Paese, in cui nella pubblica amministrazione non si scambino i diritti con i favori. Proprio in questi mesi di pandemia abbiamo ricevuto tutti, la politica e le istituzioni, una grande lezione da parte dei cittadini. Anche di quelli siciliani, che, a dispetto delle grida di qualche sceriffo di città, si sono comportati con grande responsabilità e disciplina. Hanno diritto alla normalità, non solo nella vita sociale da recuperare, ma anche in quella economica».

Sta parlando di questa terra con un trasporto tale da alimentare il sogno proibito di chi, nel centrosinistra, la vorrebbe candidato governatore. Non è che nell’agenda del ministro Provenzano c’è uno spazio libero per fine 2022?

«L’agenda del ministro Provenzano è concentrata non sui prossimi anni, ma sulle prossime ore e i prossimi giorni. E di lavoro da fare ce n’è pure troppo».

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