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Cento anni di Sciascia, l’intellettuale che raccontò l’Italia del ‘900

Di Giuseppe Taibi |

ROMA – Ottobre 1954. Italo Calvino invia un messaggio ad Alberto Carocci. “Ti accludo uno scritto d’un maestro elementare di Racalmuto (Agrigento) che mi sembra molto impressionante”. Uno dei più grandi intellettuali del ‘900 consigliava in questo modo al direttore della gloriosa rivista “Nuovi argomenti” di pubblicare le Cronache scolastiche di quel maestro elementare di provincia che finirà per impressionare l’Italia. Calvino si accorgeva della grandezza di Leonardo Sciascia, nato l’8 gennaio del 1921 a Racalmuto, periferia di quella Sicilia che dello Stivale è essa stessa periferia. L’èlite culturale del Paese lo riconosceva, ammettendolo, elevandolo al proprio rango.

Sciascia era un intellettuale lucidissimo, al tempo in cui l’intellettuale, a dirla con Albert Camus “è uno la cui mente si osserva”. Anche se forse lo scrittore siciliano è stato più in linea con la posizione di Romain Rolland che indicava il compito degli intellettuali nel ricercare la verità in mezzo all’errore. E lui, ligio a questo precetto, pagò con la polemica certe sue prese di posizione. Come quando il 10 gennaio del 1987 sulle colonne del Corriere pubblicò l’articolo “I professionisti dell’antimafia”, nel quale muoveva critiche nei confronti dei magistrati palermitani del “pool”, accusandoli di un certo carrierismo, definendoli “eroi della sesta”.

Non risparmiò critiche nei confronti persino di Paolo Borsellino. Parole che gli costarono molte noie: i rapporti con la Procura palermitana si incrinarono (anche se poi Sciascia chiarì con Borsellino), ma ancora peggio finirono per attirare i giudizi avversi di gran parte del mondo della cultura e della politica italiana. Tranne radicali e socialisti, la politica nella sua quasi interezza tentò di isolare lo scrittore siciliano.

La verità è però un’altra: Sciascia era un anti-mafioso militante ma allo stesso tempo era un garantista, sostenitore dello stato di diritto, critico pure nell’uso massiccio del cosiddetto pentitismo. Qualche anno prima, negli anni bui del terrorismo, manifestò contrarietà alla legislazione d’emergenza, ai poteri speciali, ai metodi duri, alle torture inflitte ai brigatisti. 

Sciascia era un uomo colto ed illuminato che non esauriva la sua missione nell’arte della retorica, ma anzi da militante appassionato aveva preferito spendere le sue idee e le sue energie nella politica.

Formatosi agli ideali di sinistra, nel 1975 fu eletto consigliere comunale a Palermo nelle fila del Pci. Partito dal quale fuoriuscirà un paio d’anni dopo in disaccordo con il compromesso storico. Nel giugno del 1979 accetta la proposta dei Radicali di candidarsi sia al Parlamento Europeo che alla Camera. Eletto in entrambe opterà per la seconda, componendo la Commissione d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro Moro e sul terrorismo.

Fu una parentesi aperta nella sua prolifica e febbrile attività di scrittore. Cominciata negli anni ’50 con la pubblicazione di racconti, poesie, saggi, e sublimata poi dai romanzi, divenuti pilastri della letteratura del ‘900: opere come “Il giorno della civetta”, “A ciascuno il suo”, “Todo modo”. Libri di carta divenuti racconti in celluloide, affreschi di una società affidati ai più grandi registi del tempo. Elio Petri diresse la trasposizione cinematografica di “A ciascuno il suo” e “Todo modo”, Damiano Damiani “Il giorno della civetta”, Francesco Rosi trasse dal suo romanzo “Il contesto” la storia per concepire uno dei suoi film meglio riusciti, “Cadaveri eccellenti”. 

Il cinema individuava nei suoi scritti il coraggio nel raccontare l’attualità senza fare sconti, lucidamente, scevro da ammiccamenti di sorta. Temi ancora attualissimi che danno la cifra della grandezza di Sciascia scrittore.

Un impegno civile e letterario che proseguì fino alla fine diviso tra Palermo e la sua “Regalpetra”, investendo il suo tempo nello studio di Pirandello, nel mantenere vivi i contatti con il mondo letterario italiano e francese e con le sue battaglie politiche a salvaguardia dello stato di diritto, come nella difesa di Enzo Tortora vittima di un gravissimo errore giudiziario.

Ma la sua più grande battaglia fu combattuta contro la malattia, il mieloma multiplo che gli fu diagnosticata quando oramai era in pensione da tempo. Battaglia che lo piegò definitivamente, sopraffacendolo il 20 novembre del 1988 mentre si trovava a Palermo.

La salma tornò nella sua amata Racalmuto dove furono celebrati i funerali religiosi e dove oggi è sepolto. Sulla lapide bianca un epitaffio, una frase che lui prese in prestito da Villiers de l’Isle-Adam perchè ritenuta meno personale, più universale e amena: “Ce ne ricorderemo, di questo pianeta”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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