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Dai test ematici la vera “foto” dell’epidemia, pronti 36 laboratori (3 in Sicilia)

Di Enrica Battifoglia |

ROMA – Il momento della riapertura è ancora lontano, ma bisogna prepararsi fin da adesso per poter capire esattamente con quale gradualità sarà possibile tornare a una vita normale e uno degli strumenti fondamentali per farlo sono i test sierologici per la ricerca degli anticorpi.

Sono questi test, secondo i ricercatori, che potranno aiutare a comprendere per esempio quante siano state le persone hanno avuto il virus in Italia, oltre ai casi diagnosticati. Soprattutto nella fase della riapertura diventa importante individuare chi ha avuto l’infezione, ma senza sintomi o con sintomi così lievi da non avere avuto la diagnosi.

Si calcola che sarebbe sufficiente che fossero il 50% della popolazione per poter riaprire il Paese senza rischi. Al momento esistono soltanto delle stime, secondo le quali il numero potrebbero essere da cinque a dieci volte quello delle persone che hanno avuto la diagnosi, ma il numero reale è sconosciuto. «Lo strumento per portare alla luce questa realtà sommersa sono i test sierologici che nel sangue individuano la presenza degli anticorpi contro il coronavirus SarsCoV2», osserva il virologo Francesco Broccolo, dell’università Bicocca di Milano e direttore del laboratorio Cerba di Milano.

«Mentre i tamponi forniscono una diagnosi diretta, individuando i frammenti genetici del virus nei campioni prelevati da naso e gola, i test sierologici – spiega l’esperto – forniscono una diagnosi indiretta rivelando la presenza degli anticorpi, ossia se l’infezione sia avvenuta in passato o meno». Esistono test sierologici più rapidi ed economici ma meno affidabili e che per questo hanno bisogno di essere validati; ci sono poi altri test più complessi e costosi, ma più affidabili, per i quali sono al momento 36 i laboratori pubblici di almeno 11 regioni che si stanno organizzando.

La Campania è la regione che ne ha di più, con sette laboratori pubblici fra Napoli, Caserta e Benevento; segue la Liguria, con sei centri che hanno fatto richiesta fra Genova, La Spezia e Savona; cinque ne ha la Lombardia, tutti a Milano e alcuni in fase di sperimentazione; cinque sono i laboratori in Veneto, fra Padova, Vicenza, Verona e Mestre; tre sono in Sicilia, a Catania, Messina e Palermo, e tre in Piemonte, a Novi Ligure, Alessandria, Arona e Acqui Terme; due sono nel Lazio, entrambi a Roma; due in Toscana, a Massa e Pisa, dove sta partendo un protocollo di studio; hanno infine un laboratorio il Friuli Venezia Giulia (Trieste), Emilia Romagna (Reggio Emilia) e Puglia (Bari). COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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