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i veleni di Siracusa
«Sversamento abusivo dalla Isab». L’altra inchiesta sul petrolchimico di Priolo
Mare inquinato. Indagato anche l’ex direttore generale della raffineria per l’impianto aziendale
La prima notizia è che c’è un’altra inchiesta su un depuratore del polo petrolchimico di Siracusa. Che non è l’impianto Ias di Priolo Gargallo, bensì il Tas (trattamento acque di scarico) della raffineria Isab Sud. La seconda notizia è che il reato contestato al colosso del petrolio è inquinamento ambientale per i presunti sversamenti illeciti nel mare attraverso il canale Alpina. La terza notizia è che tra gli indagati, a partire dal 2020, c’è Bruno Martino, già direttore delle operazioni e, a settembre 2023, nominato direttore generale e componente del cda nel nuovo assetto societario voluto da Goi energy. Quando già era nota l’indagine a suo carico. Con Martino (che da luglio non è più direttore generale) sono coinvolti altri due ingegneri della raffineria: Gaetano Barbagallo e Gaetano Petralito.
La quarta notizia è che, oltre allo «sversamento abusivo di sostanze inquinanti fuoriuscite dallo scarico a mare intestato alla società Isab», che è parte del capo d’imputazione, Isab avrebbe dragato i ciottoli della foce del canale Alpina, rimuovendo quelli sporchi di sostanze oleose. Un fatto che viene segnalato non solo dai magistrati di Siracusa ma anche dal consulente tecnico nominato dal tribunale per cristallizzare i dati dell’eventuale compromissione dell’ambiente marino. Sono indagate nello stesso procedimento anche Maria Grazia Micieli e Margherita Siringo, rispettivamente amministratrice e socia del centro analisi P.Q.A. di Siracusa, che effettuava le analisi per conto di Isab.
L’origine dell’inchiestaSiracusa, novembre 2020. Nella baia di Santa Panagia, allo sbocco del canale Alpina, viene segnalata una moria, apparentemente immotivata, di pesci e granchi. In quegli stessi giorni, l’Arpa e la Capitaneria di Porto, insieme, avevano repertato «sostanze idrocarburiche» sugli argini della foce. Per la procura di Siracusa è abbastanza per aprire un fascicolo. Del resto, la foce dell’Alpina è lo scarico del Tas, l’impianto di depurazione di Isab sud.Che sui depuratori del petrolchimico ci sia parecchio da indagare i magistrati siracusani lo sanno bene: l’inchiesta su Ias, in quei giorni, è abbondantemente in corso ma il Tas è un’altra storia. Intanto perché, a differenza di Ias che è di proprietà mista pubblico-privato, il Tas è tutto di Isab, all’ epoca ancora della russa Lukoil.
Il Nictas della procura, il nucleo investigativo specializzato in questo genere di indagini, si mette al lavoro. Scattano le perquisizioni, vengono acquisite le analisi, installate le telecamere e fatte partire le intercettazioni. Nelle conversazioni registrate si legge la preoccupazione per gli accertamenti in corso: basta coi drenaggi, attenzione al Tas, l’importante è non «incasinarlo». Sempre durante l’indagine emerge la rimozione del sedime dalla foce del canale con l’intento, secondo gli investigatori, di rimuovere i segni visibili della contaminazione da sostanze inquinanti. Del resto, basta andare sul posto per rendersi conto che se si sollevano gli strati più superficiali di sedimenti si trovano rocce intrise di una sostanza nera e quasi elastica, che emana un forte odore di idrocarburi.Secondo l’indagine, la rimozione dei sedimenti inquinati avveniva con una certa frequenza. Così come quella delle barriere galleggianti necessarie per evitare che eventuali sostanze oleose provenienti dallo scarico finissero in mare. A un certo punto, si sarebbe deciso di sostituire i galleggianti: anziché arancioni, irrimediabilmente sporchi di scuro subito dopo l’installazione, megli sceglierli neri.
Diluizione e analisiSulla qualità dei reflui si gioca buona parte della partita degli inquirenti contro la raffineria. Per definire il concetto di «qualità» bisogna intanto chiarire la differenza tra quantità e concentrazione. Per fare un esempio: se si analizzano dieci litri di acqua in cui sono stati disciolti dieci grammi di sale, la concentrazione sarà di un grammo di sale ogni litro d’acqua. Ma se i dieci grammi di sale vengono disciolti in cento litri d’acqua, la concentrazione diminuisce proporzionalmente. Pur restando invariata la quantità originaria di sale. Lo stesso vale per gli inquinanti. Da cui il tema della diluizione, vietata dalla legge, data dal convogliamento nei reflui di acque “pulite”, tipo quelle usate per il raffreddamento degli impianti o quelle meteoriche.
L’Aia, Autorizzazione integrata ambientale rilasciata dal ministero dell’Ambiente, prevede, però, controlli giornalieri dei reflui, effettuati prelevandone delle modiche quantità in un punto di campionamento. È in relazione a questo obbligo di controllo che viene coinvolto il laboratorio di analisi siracusano assunto da Isab per verificare la qualità di quello che viene scaricato. Così, dalle conversazioni tra ingegneri e tecnici, emergerebbe il presunto aggiustamento dei numeri per evitare che dalle tabelle delle analisi emergessero sforamenti dei limiti.
Secondo l’accusa, capitava che i campioni venissero costituiti ad arte. E cioè che il personale del laboratorio, anziché ritirare le boccette dal campionatore automatico e analizzare quelle, ritirasse delle bottiglie di liquido create ad hoc dal personale della raffineria. Il cocktail, lo chiamavano alcuni. Una diluizione confermata dalle immagini delle telecamere fatte installate dai magistrati, acquisite agli atti dell’inchiesta, che mostrerebbero questa operazione fotogramma dopo fotogramma; e confermata anche dal personale in servizio al Tas, sentito dalla procura.
Gli scarichi a mareIl procedimento penale scaturito dall’indagine è adesso nella fase dell’udienza preliminare e si sta svolgendo un incidente probatorio. Dietro alle porte chiuse dell’aula del tribunale di Siracusa non mancano i colpi di scena. Nella relazione del primo collegio di periti nominato dal tribunale, che aveva concluso che non ci fossero compromissioni ambientali, sarebbero emerse diverse criticità rispetto alle analisi effettuate, al controllo sui dati e alle competenze tecniche. Da cui la necessità di nominare un nuovo perito, che la sua relazione l’ha depositata da pochi giorni. Suo compito era chiarire se vi sia stata una «compromissione significativa e misurabile dell’ambiente marino antistante la foce del canale Alpina».
Nelle conclusioni, il tecnico spiega che avrebbe voluto controllare i sedimenti alla foce del canale Alpina, ma «tale attività è risultata inattuabile, in quanto il personale Isab ha dichiarato di dragare periodicamente i sedimenti della foce […] per consentire il continuo flusso dell’acqua».«Sulla base delle informazioni disponibili – puntualizza il perito – l’autorizzazione alla movimentazione non è stata né richiesta tantomeno ottenuta». Fatto che rappresenterebbe un possibile «rischio chimico per l’area marino-costiera adiacente». E continua: dall’analisi di mitili e patelle sono emerse immissioni di benzene in acqua (plausibilmente non casi isolati). Che meritano una certa attenzione, non fosse altro che il benzene è una sostanza – cancerogena – particolarmente volatile: evapora in fretta e si disperde nell’aria. Il tecnico evidenzia anche superamenti dei limiti di immissione di rame.La prossima udienza si svolgerà fine gennaio. Intanto, però, i dati sono lì, le intercettazioni e le riprese pure. Ma anche le difese degli indagati, che rispediscono al mittente ogni accusa. Se comincerà un processo dipenderà da tutti questi elementi insieme.