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La caduta di Damasco: Assad fugge in Russia da Putin, il jihadista Jolani al potere

Di Lorenzo Trombetta |

Dopo 54 anni si è dissolto in poco più di dieci giorni il regime siriano della famiglia Assad, col suo ultimo esponente, il presidente Bashar al Assad, al potere da un quarto di secolo, fuggito a Mosca assieme alla famiglia sotto la protezione di Vladimir Putin. A Damasco «liberata» è entrato oggi da trionfatore il leader dei jihadisti sostenuti dalla Turchia, Abu Muhammad al Jolani, che ha già chiesto espressamente di non esser più chiamato col suo epiteto di battaglia ma col suo nome originario, Ahmad Sharaa.

Nel suo primo discorso pubblico nella capitale, pronunciato nella Grande Moschea degli Omayyadi, dove per secoli sovrani e conquistatori hanno parlato alle masse appena sottomesse, il ‘condottiero generalè (al Qaid al Amm) ha però fatto un discorso più panislamico che pansiriano, togliendo ogni dubbio sulla matrice islamista del suo profilo e del suo progetto di governo: «Il dittatore è caduto, e questa è una vittoria per tutta la nazione islamica. E’ un trionfo che segna un nuovo capitolo nella storia della regione, il futuro è nostro».

Le parole di Jolani sono rimbombate tra le antiche arcate della Grande Moschea mentre Israele si annetteva, nel silenzio della comunità internazionale, un’altra fetta di territorio mediorientale: il versante orientale del Jabal Shaykh (Monte Hermon), parte di quelle Alture del Golan occupate nel 1967 e mai restituite a Damasco. La Siria è stata «un parco giochi per le ambizioni iraniane», ha aggiunto Jolani, a conferma del fatto che il nuovo equilibrio di potere sembra mettere ai margini non solo l’influenza russa ma anche quella iraniana.

E mentre Mosca ha chiesto la convocazione urgente di una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, il Cremlino ha fatto sapere di aver raggiunto un accordo con gli insorti perché non prendano d’assalto le diverse basi militari russe nella Siria centro-occidentale, in particolare quella navale a Tartus e quella aerea di Hmeimim.

Sul terreno, mentre i festeggiamenti erano in corso in diverse città siriane, incluse quelle della zona costiera, vicina alla roccaforte di montagna dei clan alawiti da decenni associati agli Assad, sono scoppiati intensi scontri tra fazioni armate filo-turche e loro rivali dell’ala locale del Pkk nell’enclave di Manbij, a nord-est di Aleppo e da anni controllate dalle forze curdo-siriane. Queste sono state costrette a ritirarsi verso est e probabilmente dovranno ripiegare, come già successo per altre milizie curde, oltre il fiume Eufrate. In quest’area mista araba e curda con epicentro Raqqa, ex capitale dell’Isis, oggi si sono verificate tensioni tra i clan arabi, che stanno aderendo alla mobilitazione innescata dai jihadisti filo-turchi, e le forze curde sostenute sul terreno dagli Stati Uniti.

Sul piano interno, il premier siriano Muhammad Jalali, in carica dal settembre scorso, si è offerto come premier di continuità in un momento in cui lo Stato e le istituzioni siriane, distinte dal sistema di potere incarnato dagli Assad, hanno bisogno di rimanere in piedi e al servizio di una popolazione in larga parte festante ma allo stesso tempo stremata per una guerra in corso da 14 anni e una crisi economica dilagante. Le milizie di insorti, tra cui figurano anime molto diverse fra loro, competono ora per la gestione della sicurezza nella capitale.

Gli abitanti di Damasco hanno passato in piedi una notte di attesa per le notizie frenetiche che venivano dalla sera dai fronti nord di Homs e da quello sud di Daraa, Qunaytra e Suwayda. Alle 4 del mattino locali (le 2 in Italia), le prime avanguardie di insorti dalle regioni meridionali, al confine con la Giordania, sono entrate in città scortate da un fiume di manifestanti pacifici in delirio, mobilitatisi in maniera spontanea dalle periferie cittadine, le stesse che si erano rivoltate nel 2011 con lo scoppio delle allora massicce proteste popolari anti-governative. Col passare delle ore e mentre gli insorti aprivano le famigerate prigioni e camere di tortura del regime, lasciando che dal sottosuolo riemergessero, alcuni dopo 40 anni, detenuti politici creduti ormai morti, si è diffusa in città la paura per saccheggi, che in realtà non si sono verificati se non in forma sporadica. Con l’arrivo di Jolani a Damasco è stato imposto il coprifuoco. L’8 dicembre si aggiunge al calendario delle feste della nazione.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA