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L'inchiesta
Psc, è allarme rosso su altri 400 milioni: la nuova “black list” delle dighe ferme
L’ira di Schifani sui dirigenti (e su Di Mauro) per i ritardi. E scarica la colpa su Musumeci
Quattrocento. A Palermo, da ieri mattina, c’è questa nuova cifra a seminare il panico. Quattrocento milioni di euro è la stima che circola sugli altri fondi di Coesione a rischio in Sicilia. Dopo la scure del Cipess, che ha definanziato 79 progetti della Regione e delle Città metropolitane di Catania, Messina e Palermo per un taglio netto di oltre 338 milioni, un ulteriore report in tempo reale – accelerato dalla bufera scaturita dall’inchiesta del nostro giornale – ha fatto scattare l’allarme rosso a Palazzo d’Orléans. Da dove descrivono Renato Schifani «su tutte le furie» per i ritardi di alcuni progetti, già osservati speciali a Roma. Quasi il 70% delle ulteriori risorse in bilico del vecchio Piano sviluppo e coesione sono – ironia della sorte, in un’isola che in autunno inoltrato fa i conti con la siccità – nel settore idrico. E almeno 100 milioni sono fondi destinati agli invasi siciliani.
La black list
Così, dopo aver incassato il definanziamento definitivo di interventi su tre dighe (20 milioni per il consolidamento della Disueri di Gela, 2 milioni per la messa in sicurezza della Rosamarina di Caccamo e 450mila euro per la la sistemazione di vasche e canali di Olivo, Sciaguana e Villarosa nell’Ennese), a terrorizzare il governo regionale c’è una nuova black list. Dentro la quale ci sono, ad esempio, gli 11,5 milioni per la stabilizzazione della diga Rossella, nel Palermitano, i progetti per ridurre gli sprechi nei laghi artificiali Comunelli di Butera (3 milioni) e Trinità di Castelvetrano (5 milioni), oltre a 1,8 milioni per interventi al Biviere di Lentini e un milione a testa per gli invasi Nicoletti di Enna, Don Sturzo di Caltagirone, Zaffarana di Trapani e Villarosa nell’omonimo comune dell’Ennese. Tutte opere il cui iter è molto indietro rispetto alle richieste del ministero, che ha dunque «in corso di definizione» l’ipotesi del definanziamento. Uno scenario analogo, per citare il servizio idrico delle grandi città, anche sui 15 milioni di Sidra per un progetto hi-tech di riduzione delle perdite in rete a Catania. Poi ci sono importi anche più significativi già tagliati e rifinanziati da altri plafond. Così è per i 33,8 milioni per la diga Olivo di Piazza Armerina (nella foto), transitata dalla Coesione al Pnrr, ma con tali ritardi accumulati per cui è stata ripescata nel Pniisi (Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico) del ministero delle Infrastutture con le nuove risorse della Coesione. Una situazione simile a quella della stessa Rosamarina di Caccamo: 25 milioni previsti nel vecchio Psc, poi transitati nel Pnrr e infine destinati al Pniisi con fondi del Fesr. Infine, i 20 milioni della diga Gorgo di Montallegro, nell’Agrigentino, che dovranno essere riprogrammati nel Psc 2021/27.
I soldi tornano a Roma
Queste opere, magari, un giorno si faranno davvero. Ma sta di fatto che i soldi già assegnati alla Sicilia per i relativi progetti torneranno a Roma. Così come gli oltre 25 milioni dei 15 progetti di Regione (12 milioni) e Città metropolitane di Catania (7 milioni) e Messina (5,4 milioni) definitivamente cancellati dal Cipess e ripescati nel nuovo Fsc, sottoscritto dal governatore e da Giorgia Meloni, sintetizzati nella tabella al centro della pagina: fondi bruciati.
L’ira di Schifani
Ma Schifani ci tiene a tirarsi fuori dalla mischia delle responsabilità sui fondi già persi. E, con una nota impersonale affidata all’ufficio stampa, precisa che le 45 opere regionali già definanziate «avrebbero dovuto conseguire “un’obbligazione giuridicamente vincolante” entro il 31 dicembre 2022», una tempistica che «ha reso nei fatti impossibile all’attuale governo regionale, entrato nelle piene funzioni il 16 novembre di quell’anno, completare l’intero iter amministrativo che aveva come presupposto la presentazione dei relativi progetti». Un modo, sottilmente elegante, per scaricare la colpa sul suo predecessore Nello Musumeci. Il ministro, pur sollecitato, non interviene sulla vicenda. Anche se un ex assessore della sua giunta ammette che «per alcune di quelle opere inserite nei fondi di Coesione mancavano i progetti: e noi lo sapevamo…».
Il report M5S
E dire che il danno, per la Sicilia, poteva essere anche peggiore sin da subito. Da un report del gruppo del M5S all’Ars, a marzo del 2023, le opere ferme al palo ammontavano a circa un miliardo di euro. Una stima arrotondata molto per difetto, visto che i progetti sui quali non erano stati caricati i dati nel Sistema nazionale di monitoraggio avevano un controvalore di 1,8 miliardi alla fine del 2022. Nel balletto delle cifre di quei giorni, Vincenzo Falgares ammise che la somma in ballo si aggirava sugli 800 milioni. E, da quel momento in poi, il dirigente della Programmazione (scelto da Schifani dopo un quinquennio di “esilio” dalle stanze dei bottoni) cominciò un certosino lavoro di riallineamento con i dipartimenti regionali e con le amministrazioni locali. Favorito, ricorda la senatrice Ketty Damante del M5S, dall’«onta mediatica, che convinse l’allora ministro Fitto ad aggiustare il tiro salvando diversi progetti per la Sicilia», con l’allargamento delle maglie degli «impegni» giuridicamente vincolanti diventati «obbligazioni».Ma se le opere che erano in affanno nel 2023 sono rimaste tali fino a oggi, quel lavoro – politico e tecnico – rischia di essere vanificato. E qui torna la famigerata cifra, i 400 milioni del Psc siciliano in bilico. La prima scadenza è fissata per il prossimo 30 gennaio, quando il Cipess, su input del ministero della Coesione, ricontrollerà se la Regione ha fatto bene i compiti a casa. Per questo ieri l’aria a Palazzo d’Orléans è elettrica. Con una specie di gabinetto di guerra in azione: oltre a Falgares, coinvolto anche il capo della Protezione civile, Salvo Cocina. E con Schifani che punta l’indice sull’assessore lombardiano Roberto Di Mauro, titolare di Acqua e Rifiuti. Oltre che su tutti i dirigenti generali responsabili del flop già certificato. «Stavolta nessuno la passerà liscia», è la promessa-minaccia del presidente della Regione in uno sfogo con il suo staff. Ora bisogna salvare il salvabile, la resa dei conti è solo rimandata. Questione di tempo.