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Morta Iole Mancini, la partigiana torturata dal boia delle Fosse Ardeatine, ultima testimone del carcere di via Tasso

Di Redazione |

La staffetta partigiana Iole Mancini è scomparsa il 2 dicembre 2024 a Roma. Aveva 104 anni. È stata l’ultima superstite testimone degli orrori delle prigioni nazifasciste di via Tasso, a Roma, dove fu sottoposta a interrogatori da parte di Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine. Qui l’ultima intervista al «Corriere», rilasciata nel 2023.

«Quello che le donne hanno fatto in tutta Italia durante la Resistenza è stato eroico. Le donne portavano le notizie, portavano da mangiare, i vestiti, aiutavano i feriti, li curavano. Guai se non ci fossero state le donne! La Resistenza non avrebbe avuto il risultato che ha avuto. Ecco perché finita la guerra, con le nostre lotte, tutte le donne hanno finalmente potuto avere una voce attraverso il voto. Voi giovani oggi siete libere perché in quegli anni ci sono state delle donne coraggiose che hanno lottato per avere finalmente una voce». Così l’ex staffetta partigiana Iole Mancini, nata a Nemi (Roma), il 19 febbraio 1920, ha parlato alle telecamere del «Corriere» che l’ha incontrata nella sua casa romana lo scorso luglio, nel quartiere della Balduina.

Mancini, ex staffetta nei Gap (Gruppi di azione patriottica) di Roma, che oggi ha 103 anni ed è medaglia d’argento al valore militare, ha raccontato la sua storia anche nel volume «Un amore partigiano» (Feltrinelli) scritto con il giornalista Concetto Vecchio. Parabola che inizia quando Mancini incontra il marito Ernesto Borghesi (1917-1966; medaglia d’argento al valore militare) nel 1944, con cui prende parte alla lotta contro i nazifascisti nella Roma occupata.

L’incontro con Ernesto Borghesi

«Ci siamo sposati nel 1944, in piena guerra, era il 5 marzo — ricorda Mancini al «Corriere» —. Dopo il matrimonio Ernesto si confida con me e lì inizia il mio rapporto con i partigiani, entro nel loro gruppo e inizio a fare la staffetta». Ma Iole non lo dirà mai alla sua famiglia, per proteggerla, e per proteggere il gruppo: «Ecco perché per mesi non ho mai confidato ai miei perché ogni tanto uscivo in bicicletta».

L’attentato di via Rasella

Borghesi partecipa all’attentato partigiano del 23 marzo 1944 contro una colonna militare nazista, in via Rasella, dove morirono 33 soldati tedeschi (del reggimento Bozen) e due civili per lo scoppio di una bomba. Iole ha il compito di segnare, ogni giorno, l’orario di passaggio del battaglione Bozen sotto casa loro, in piazza di Spagna. Glielo chiede Borghesi, senza però specificare lo scopo di quella richiesta: «Ho saputo a fine guerra quello che era avvenuto dopo».

La reclusione in via Tasso

Poi Borghesi è ricercato per il fallito attentato a Vittorio Mussolini, secondogenito del Duce, e il 7 aprile 1944 viene portato a Regina Coeli, dove però riesce a passare per un rapinatore e a evadere dal carcere. Per rappresaglia, i tedeschi arrestano tutta la sua famiglia e incarcerano Iole Mancini, che viene portata nel carcere di via Tasso, sede della Gestapo, e viene interrogata dal comandante delle SS Erich Priebke (il boia delle Fosse Ardeatine) per sapere dove si trova il marito. Iole non lo tradirà mai: «Tutti gli interrogatori che mi fecero, io non ho mai detto dov’era Ernesto, io lo sapevo, lo aveva nascosto mio padre. Non potevo parlare o sarebbe stata la fine della mia famiglia: o ti mandavano nei lager o ti fucilavano. Ho resistito fino alla fine. Una notte ci fanno uscire dalle celle e ci fanno salire su due camion, il primo una volta pieno, è partito. Il secondo, dov’ero io, non partì. Così ci riportarono nelle celle e ci abbandonarono chiusi lì dentro. La mattina del 4 giugno 1944 entrano finalmente quelli che noi chiamavamo i “liberatori”».

Credit

Le immagini video fanno parte della visita virtuale del Museo Audiovisivo della Resistenza di Fosdinovo (Massa), realizzata all’interno della rete nazionale «Paesaggi della Memoria», a cura di Archivi della Resistenza (regia Andrea Castagna)

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