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Sentenza

Si rivolge al boss per riscuotere un debito, fra i tre condannati l’ex presidente dell’Acireale Calcio

Notarrigo avrebbe preteso da un imprenditore il pagamento di una parte di una cartella esattoriale che gli era stata notificata per mancati pagamenti all’Erario, nel periodo in cui era ai vertici della società calcistica.

Di Laura Distefano |

Tre condanne. Finisce così, almeno il primo capitolo, la vicenda giudiziaria che portò il 28 aprile dell’anno scorso all’arresto in flagranza di reato il boss santapaoliano Orazio Santonocito, Alfio Caruso e Daniele Notarrigo (già presidente dell’Acireale Calcio per alcuni mesi nel 2017) per aver intascato dei soldi non dovuti. La prima sezione penale del Tribunale di Catania, presieduto dalla giudice Grazia Anna Caserta, ha ritenuto colpevoli i tre imputati e ha inferto una pena di 4 anni, 5 mesi e 10 giorni e 1.600 euro di multa ciascuno a Caruso e Notarrigo e 6 anni e 8 mesi e 2.400 euro di multa per Santonocito. L’accusa è di estorsione aggravata.

La vicenda è collegata alla governance dell’Acireale Calcio: infatti Notarrigo avrebbe preteso da un imprenditore il pagamento di una parte di una cartella esattoriale che gli era stata notificata per mancati pagamenti all’Erario, nel periodo in cui era ai vertici della società calcistica. Per l’imputato la vittima avrebbe dovuto accollarsi una parte della somma da versare al Fisco per la sua partecipazione – seppur solo di fatto – nel compendio dell’Acireale. Quando la vittima gli ha risposto picche sono cominciate le minacce. A un certo punto della storia è entrato in scena Santonocito: tant’è che i carabinieri ammanettano i tre a San Pietro Clarenza dove il boss, con sentenze irrevocabili già scontate per mafia, omicidio e sequestro di persona, ha una macelleria. In tasca del santapaoliano gli investigatori trovarono 800 euro ritenuta una tranche del debito da onorare di circa 40mila euro. La vittima, affiancato dall’associazione Libera Impresa, si è rivolto ai carabinieri che hanno organizzato il monitoraggio e la trappola. Le pene comminate sono state più contenute rispetto a quelle chieste al termine della requisitoria da parte del pm Angelo Brugaletta.Gli imputati sono stati condannati a risarcire la vittima, difesa da Francesco Messina, la moglie assistita da Gianluca Costantino e l’associazione Libera Impresa rappresentata dalla legale Rossana Petralia.

Il collegio difensivo, composto da Salvatore Catania Miluzzo (Santonocito), Salvo Burzillà (Caruso), Mario Brancato e Massimo Ferrante (Notarrigo), ha chiesto l’assoluzione. Alcuni in subordine chiedevano la riqualificazione in esercizio arbitrario. Sicuramente, dopo il deposito tra 90 giorni delle motivazioni, ci sarà l’appello.

«Le sentenze non si commentano, si impugnano, ed è esattamente quello che faremo non appena saranno depositate le motivazioni. Questo processo si basa su documenti, intercettazioni e, soprattutto, sulle dichiarazioni – dichiara Ferrante in una nota – della presunta vittima. Il nostro obiettivo è scagionare il signor Notarrigo, che riteniamo assolutamente innocente e, anzi, vittima a sua volta. In questo processo ci siamo esposti in maniera significativa, denunciando fatti gravi che hanno dato luogo a un ulteriore procedimento penale. Lo abbiamo fatto con piena consapevolezza delle nostre ragioni, mantenendo la schiena dritta e senza chiedere sconti a nessuno. L’unico nostro scopo è far emergere la verità, un obiettivo ancora più drammatico quando si è convinti di trovarsi di fronte all’innocenza di un imputato. Questo significa che dobbiamo fare ancora di più, e non ci tireremo indietro», conclude l’avvocato.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA