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mafia
La sparatoria di Librino e le confidenze in carcere: il racconto di Privitera ai pm
Il giovane boss dopo la condanna in corte d'assise ha deciso di collaboratore. E riempie i primi verbali
«Posso dire che i fratelli Sanfilippo hanno riferito i fatti per come sono andati anche se con qualche imprecisione e confusione dovuta probabilmente al fatto che loro sono stati solo esecutori materiali e non erano a conoscenza di tante circostanze. Posso dire che hanno detto la verità per ciò che sapevano».
Chi è Sam Privitera
A parlare è Sam Privitera, condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Enzo Timonieri avvenuto il 12 febbraio 2021. Il giovane boss avrebbe avuto il ruolo di mandante nel caso di lupara bianca assieme a Natalino Nizza. A puntare il dito contro Privitera furono i fratelli Ninni e Michael Sanfilippo che si accusarono di essere i killer di Timonieri. E furono, infatti, loro a portare i carabinieri nelle dune di Vaccarizzo dove per quattro mesi fu seppellito il cadavere del pusher di San Cristoforo. Privitera, come già anticipato da La Sicilia, dopo il verdetto della Corte d’Assise ha deciso di collaborare con la giustizia. Queste sono dunque le poche parole senza omissis riguardanti il delitto di Enzo “Caterina” Timonieri. Frase che ha il sapore di una confessione.
Il verbale oscurato
Il verbale è totalmente oscurato, tranne qualche piccolo stralcio. Ce n’è uno , riguardante l’arma usata per uccidere Timonieri, che si collega alla sparatoria del viale Grimaldi 18 di 4 anni fa: «Michael avrebbe dovuto utilizzare una Glock 9×21 di Carmelo Sanfilippo e che era già stata utilizzata nella sparatoria dell’agosto del 2020 questa arma era nella disponibilità di Michael e mi disse di averla ricevuta dal fratello Melo, che era stata utilizzata nella sparatoria del gruppo dei milanesi, ma non mi disse da chi».Ma Privitera, in carcere, avrebbe ricevuto diverse confidenze su quanto avvenne nel conflitto armato. Sul duplice omicidio a carico di Carmelo Di Stefano e i cursoti-milanesi è pendente l’appello (potrebbe esserci la richiesta di ascoltare Privitera, ndr), mentre per i cappelloti si è già definito il secondo grado.
Le confidenze in carcere
Qualche mese fa il neo collaboratore avrebbe condiviso la detenzione a Tolmezzo con due protagonisti della guerra a Librino. E precisamente il boss di primo piano dei Cappello, Rocco Ferrara e il giovane Salvuccio ‘u ciuraro Lombardo junior, figlio del cugino del capomafia Turi Cappello. Il pm ha chiesto a Privitera cosa Lombardo jr gli avrebbe rivelato. «Il giorno della sparatoria… lui quando è arrivato… un caricaturi u scaricau subitu (un caricatore lo ha scaricato subito, ndr), aveva na pistola iddu e qualcun altro ce la doveva avere, le pistole dovevano essere di più», ha risposto il pentito parlando un po’ in dialetto.Nell’interrogatorio dello scorso 11 ottobre Privitera racconta che il giovane cappelloto gli avrebbe raccontato che essendo sulla moto che apriva il carosello avrebbe sparato contro le macchine dove si trovavano i milanesi e di aver in questo modo rallentato la controffensiva di Di Stefano e company.
Il confronto
Il collaboratore, inoltre, si sarebbe confrontato con Lombardo jr sul fatto che Sanfilippo (uno dei fratelli che all’epoca erano nelle file dei cursoti, ndr) gli avrebbe rivelato che Enzo Scalia, detto negativa e una delle vittime dello scontro armato, sarebbe stato armato. Il cappelloto avrebbe risposto che era una ipotesi possibile, poichè Scalia avrebbe portato sempre dietro una pistola.Lombardo avrebbe spiegato a Privitera che all’inizio volevano presentarsi con i kalashnikov ma poi, per volere di Ferrara o di boss “più grandi” avrebbero desistito per paura di una reazione da parte dei rivali. «Non pensavano di fare una cosa esagerata», spiega Privitera riportando quanto gli avrebbe riferito il giovane boss dei Cappello. Poi, però, le cose sono andate diversamente. Catania piombò in pieni anni Novanta con due morti sull’asfalto.