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La storia

Vincenzo, il “custode” di emozioni a motore che sogna di farne un museo

La storia del medico e collezionista di auto vespe, moto d’epoca, giocattoli

Di Carmen Greco |

Vincenzo Carbonaro ha iniziato a tuffarsi nel motorismo storico per caso, da quando aveva 15 anni. Ora che di anni ne ha 63, i pazienti del suo ambulatorio da medico di famiglia non si stupiscono di trovare in sala d’attesa, il cavalluccio con cui giocava da bambino o le vetrine zeppe di modellini di automobili. La sua “malattia” ad Acireale è nota a tutti.Il palazzo di famiglia fatto costruire dal bisnonno, è da sempre culla e “museo” di una passione legata a doppio filo con l’infanzia e soprattutto con la curiosità per tutto ciò che è meccanico. Delle 10 auto storiche, 18 Vespe, 5 moto, 15 auto a pedali giocattolo, e dei 1.800 modellini in scala 1: 43 catalogati minuziosamente, Carbonaro (presidente del Vespa Club Acireale e del club La Manovella federato all’Automotoclub Storico Italiano) conosce infatti ogni bullone, ogni modello, ogni caratteristica. Musica per le orecchie di chi ha un minimo di dimestichezza con i motori, ma “concerto” vero per chi ha il privilegio di essere ammesso in questo sancta sanctorum dei ricordi.

Com’è iniziato tutto?

«Da piccolo mi ero legato molto ai modellini delle macchine e già allora ero considerato un bambino un po’ strano perché quando finivo di giocare, riponevo le macchinine nelle loro confezioni originali che ancora oggi conservo. Man mano mi sono avvicinato alle auto, quelle vere. La prima me la regalò a 20 anni un amico di mio padre, da lì non mi sono fermato più».

Chi l’ha avviata alla conoscenza dei motori?

«Da ragazzino frequentavo una concessionaria Fiat che c’era ad Acireale. Mio padre era molto amico del proprietario e quando si vedevano, io andavo sempre con lui e approfittavo per curiosare in officina. Dai 10 ai 16 anni, finiti i compiti, stavo lì fino a sera a guardare i meccanici che lavoravano. C’era il capofficina, Giovanni Maccarrone, che mi aveva preso a ben volere, c’erano i fratelli Principato, carrozzieri, li guardavo smontare e rimontare i pezzi. Da un meccanico che c’era vicino casa nostra, il signor Alfio, mi facevo regalare i fustini di detersivo pieni di vecchi pezzi d’auto. Mi piaceva smontare carburatori, dinamo, tutto quello che mi dava lui».

E quindi per lei si poteva immaginare un futuro da ingegnere…

«Invece ho studiato medicina. In realtà volevo fare il medico sin da bambino, nella mia famiglia erano sempre stati tutti avvocati o notai».

È nata prima la passione per le auto o per la Vespa?

«Per l’auto. La mia prima fu una 1100 familiare, comprata nel 1982. Era la prima volta che la Fiat faceva le rottamazioni. La Vespa mi aveva sempre attratto ma non mi ero mai avvicinato a questo mondo. Nell’85 poi un mio amico mi segnalò che sotto un albero di limoni, a Pedara, ce n’era una abbandonata che era un ammasso di ruggine. Il proprietario me la vendette, era del 1951, nel ‘90 la restaurai alla perfezione, era di quelle con il faro basso sul parafango. Dopo quella, ne sono seguite tante altre».

Il pezzo che la emoziona di più?

«Il motorino dei miei 14 anni un “Gilera 50 enduro”. Ce l’ho ancora, l’ho fatto utilizzare anche ai miei figli».

Ecco appunto, questo suo pallino per il collezionismo come viene visto in famiglia?

«Con le opportune differenze ritengo che la prendano bene (ride ndr). Quando andiamo ai raduni di auto d’epoca quasi sempre guida mia moglie Elisabetta. Andiamo anche ai motoraduni con le nostre moto d’epoca, lei con la sua, io con la mia. La vera motociclista è lei, io vado solo in moto. I miei figli usano le auto ogni tanto e anche le Vespe».

È un po’ una mania dica la verità…

«Io collezionerei di tutto, ho anche un discreto numero di macchine fotografiche, macchine da scrivere, telefoni… Ho anche una nutritissima biblioteca di settore con materiali, libri riviste…».

Cosa potrebbe raccontare un collezione come la sua a un ragazzo della generazione Z?

«Se parliamo delle Vespe la storia di un’icona italiana. Qui c’è l’evoluzione di questo mezzo un po’ in tutte le sue cilindrate. Nacque nel ‘46 da un’idea dell’ingegnere Corradino D’Ascanio che, pochi sanno, oltre alla Vespa inventò il prototipo dell’elicottero moderno. La Vespa è il più grande fenomeno di costume del XX secolo e non solo è ancora in produzione ma, con le dovute differenze, ha conservato immutato il concetto del suo progetto originario, vale a dire parte sempre da un telaio monoscocca in lamiera».

Che tipo di mercato ha oggi il motorismo storico?

«È cambiato negli anni. Sono stato di recente alla Fiera di Bologna di auto e moto d’epoca e al momento vanno di moda le cosiddette “young timer” le auto fra 20 e 30 anni di vita, sembra poco, ma dipende dall’età degli acquirenti. Le “anteguerra”, fino a qualche anno fa, costituivano il più importante settore del motorismo storico, oggi non le vuole più nessuno».

Come fa a mantenere l’efficienza di tutti i suoi veicoli?

«Facendoli periodicamente circolare. È un lavoro…».

Collezionando tutti questi oggetti, si sente più il custode di un’epoca o il custode del bambino che è in lei?

«Senza voler essere presuntuosi, custodi sicuramente si diventa, perché negli anni conservi, tuteli, acquisisci conoscenze, esperienza. Il bambino che è in me, può essere (ride ndr) ma non ci vedo niente di male».

A chi vorrebbe trasmettere questo suo bagaglio di conoscenze?

«Ai miei figli, ma da questo punto di vista non mi sembrano interessati. Finché potrò me ne occuperò io, poi si vedrà».

Il suo sogno?

«Un museo del giocattolo. Potrei allestire un parco giochi d’epoca per bambini. Ho scivoli, altalene, cavallucci… tutti d’epoca. Mi piacerebbe integrarli con i veicoli d’epoca.

E come se lo immagina?

«Come un piccolissimo Lingotto di Torino, da allestire magari in una parte un po’ periferica di Acireale. Un museo ad ampio spettro, con collezioni diverse. Per esempio ne esiste uno a Villafranca di Verona intitolato a Luciano Nicolis, dove c’è un po’ di tutto dalle auto alle moto, alle biciclette d’epoca».

E fino a quel momento le porte della FPA collection sono aperte?

«In realtà io l’ho fatto per me e per gli amici, ma una volta che è stato censito sulla strada dei musei dell’Asi dovrei, su richiesta, farlo visitare. Ma lo confesso, i potenziali visitatori mi devono piacere».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA